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20/01/2021
Fiducia a Conte. Resta l’incertezza
l’uso strumentale del richiamo alla responsabilità esula da come essa dovrebbe sollecitare le forze politiche a corrispondere ai drammatici giorni che sta vivendo l’Italia

Le votazioni sulla fiducia al governo Conte nei due rami del Parlamento hanno dato un esito diverso, assicurando la maggioranza assoluta solo alla Camera. Oltre a mostrare le difficoltà politiche dell’esecutivo, il risultato ha reso evidente una forzatura istituzionale e politica nel ricercare adesioni di parlamentari a titolo personale, in alcuni casi frutto di trattative ad personam. Pur nei modi tipici del suo agire politico, l’ex premier Matteo Renzi aveva aperto una questione politica, ponendo, in ultima analisi, il problema reale dell’inadeguatezza del governo. La risposta di Conte, condivisa dal M5Stelle e sulla quale si è sostanzialmente adagiato il Pd, è stata quella di confermare la propria autoreferenzialità, condita da “appelli” a “responsabili” o a “costruttori”. Le poche adesioni si sono rivelate del tutto prive di connotati politici, rimarcando la distanza tra il governo e il Paese reale.

Un’autorevole conferma di questa postura politica del premier Conte, l’ha espressa, alla vigilia dell’importante passaggio parlamentare, Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, diagnosticando la malattia del governo: “Giuseppe Conte ha creduto troppo a lungo di poter procedere da solo, o al più con un pugno di fedelissimi, nessuno dei quali forte di una investitura popolare”, con ciò sottolineando anche quest’ultimo aspetto di legittimità democratica.

Senza entrare nelle diverse angolature politiche e partitiche ci interessa soprattutto rendere evidente il ridotto cabotaggio di una maggioranza che, di fronte ad un quadro del Paese che si prospetta drammatico, ha ritenuto esauriente attestarsi su una dimensione di consenso parlamentare ancor più esigua, invece di offrire al presidente della Repubblica la possibilità di esperire il tentativo di una svolta politica più adeguata ad affrontare una condizione che va assumendo il carattere dell’eccezionalità.  In più occasioni Sergio Mattarella, di fronte alla situazione del Paese, ha richiamato le forze politiche al dovere di costruire maggioranze stabili.

L’Italia è nel pieno di una pandemia misurata da discussi parametri che colorano la cartina geografica delle nostre regioni. Il fatto che la sua diffusione abbia una dimensione globale non ci rassicura, anzi i suoi effetti possono gravare ancor più nelle società aperte, mentre risultano meno influenti laddove il dispotismo ne segna la vita collettiva.
La crisi economica che ne sta derivando colpisce il lavoro più esposto accentuando la tendenza darwiniana del mercato, spietato, anche in tale caso, verso i meno garantiti e le imprese di ridotta capitalizzazione. Ma oltre al pericolo della vita e la difesa dei più deboli, sentiamo incombere la necessità di una tutela spirituale per lo smarrimento che comporta il cambio dei modi di vita collettiva.

In particolare, pesa la palese o subdola privazione di libertà che ci assale, come si usa dire, nel momento in cui soffriamo per la sua mancanza. Vi è poi un elemento ancor più inquietante. Ci accompagna sempre più la preoccupazione che fu di un grande pensatore, Alexis de Tocqueville, quando affermava: “Il dispotismo, che, per sua natura, è diffidente, vede nell’isolamento degli uomini la garanzia più certa della propria durata, e in generale mette ogni cura nel tenerli separati”. Avvertiamo, in genere, l’influenza di grandi interessi e la crisi della rappresentanza politica che comporta la parallela riduzione delle garanzie costituzionali.

L’Italia sta vivendo tutto questo. Non possiamo illuderci che la scienza e la medicina possano risolvere una condizione che sfida la naturale solidarietà e il primato del bene comune, le tutele sociali e la rappresentanza politica nelle sua capacità di preservare libertà, uguaglianza, opportunità e sviluppo per ognuno e per tutti. E’ del tutto evidente la necessità di una politica all’altezza di questa sfida.

L’immagine che essa, invece, sta dando in questi giorni non corrisponde a questa esigenza. Tutt’altro. Si palesa l’inadeguatezza delle forze politiche, la fragilità del governo, le sue divisioni e la lontananza rispetto al Paese reale. Anche l’importantissimo programma del Next Generation Ue ha aperto una disputa di contenuti. Un conflitto nominalistico, una competizione solo elencativa che nasconde la mancanza di due elementi fondamentali senza i quali le risorse e l’indebitamento gireranno a vuoto.

Come ha sottolineato il professor Stefano Zamagni, il Piano anche nell’ultima stesura appare “miope”, cioè carente di una strategia di interventi che, sulla base del paradigma economico proprio del nostro Paese e nella esigenza di far esprimere le sue forze vitali, solleciti la crescita della vera ricchezza produttiva, cioè della manifattura e degli snodi imprenditoriali dei distretti, vera spina dorsale territoriale e sociale, attraverso gli investimenti nelle infrastrutture fisiche e digitali. Intere regioni sono di fatto tagliate fuori da quelle arterie di comunicazione indispensabili per lo sviluppo e la competitività produttiva. Una politica culturale che valorizzi i nostri giacimenti storici ed artistici in sintonia con lo sviluppo del turismo, cioè con la loro fruizione e la moltiplicazione di ricchezza. Indispensabile appare il sostegno alla ricerca che spinga e qualifichi le nostre strutture universitarie, riportandole a un necessario grado di eccellenza in talune sedi e facoltà. Una politica ambientale che nelle trasformazioni favorisca il recupero e la produzione di energia, annullando costosi procedimenti che producono danni ambientali. La scelta delle opere deve essere solo in funzione di questa visione dinamica e di crescita che aiuti a creare valore, lavoro e competitività. 

Per tutto ciò occorre approntare riforme - ed è il secondo aspetto - che, quantomeno per la fase necessaria all‘attuazione del Piano europeo, consentano di realizzare i progetti, nei tempi previsti dalle clausole del Piano europeo di aiuti. L’esperienza mostra che senza queste riforme che riguardano giustizia amministrativa e civile, procedure di attuazione, controlli e legislazione e funzionalità delle pubbliche amministrazioni centrale e locali, si rischia il naufragio. Proprio questi doverosi passaggi di riforma non possono superare le complesse procedure parlamentari senza una maggioranza ampia, consapevole della condizione del Paese.

L’uso strumentale del richiamo alla responsabilità che è stato fatto in questi giorni esula, potremmo dire irresponsabilmente, da come essa dovrebbe sollecitare le forze politiche a corrispondere ai drammatici giorni che sta vivendo l’Italia.

Pietro Giubilo       
 




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