PRIMO PIANO
25/03/2020
Gli infortuni sul lavoro in agricoltura: un triste primato italiano
la Feder.Agri in prima linea per sollecitare una rinnovata attenzione al settore

Il 2019 si è chiuso, con un dato allarmante, tra i tanti, che vede crescere il numero degli infortuni sul lavoro, ma anche delle “morti bianche” nel nostro Paese. Un trend, che sconfessa le facili analisi che lo stesso Inail andava profilando, facendole poi divenire quasi un dato ineluttabile, come non fosse legato alle politiche attive di prevenzione e controllo, che lo stesso Istituto dovrebbe assicurare (dopo l’utile di 1.804 mld di euro del 2018). Uno sport nazionale quello dello scarico di responsabilità, in ogni campo, dove quelle istituzionali pesano in maniera determinante, rispetto a quelle dei soggetti imprenditoriali e sociali, spesso vittime di tale andamento, per lo più legato a degli adempimenti formali e burocratici soffocanti, che non garantiscono nemmeno i migliori risultati.

In particolare il settore primario vede questo triste primato, davanti ad altri comparti produttivi, come testimoniano i tanti osservatori, come l’Asap, che hanno già registrato nel 2017 ben 178 morti per incidenti, con macchine agricole. Una casistica infortunistica, complessa, soprattutto in questo campo, visti i dati che dovrebbero essere disaggregati, distinguendoli a partire da quelli occorsi in itinere, casa-lavoro. Inoltre va considerato il fattore legato all’età degli agricoltori, spesso in prevalenza anziani, che testimoniano altresì lo scarso ricambio generazionale, specie in alcune aree del nostro Paese.

Infatti, a differenza di altri ambiti, come l’industria, qui i più colpiti risultano i soggetti tra i 45 ed i 60, fino all’età di 75 anni, con addetti già pensionati, con danni fisici correlati proprio alla anzianità degli incidentati. (Dal 2011 al 2015, su di un totale di 1.256 casi registrati, ben 442 infortuni mortali hanno riguardato soggetti anziani, in agricoltura, con il 44%, rispetto ad altre produzioni, ferme alla media del 24%- Dati Inail-Dimeila). Inoltre, l’elemento rilevante appare la tipologia aziendale, con un’incidenza elevatissima nelle piccole imprese, rispetto a quelle medio-grandi, dove il tasso infortunistico appare più contenuto. Evidentemente tali dati sono coniugati ad altri fattori decisivi, legati al rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza (Res), che risultano molto meno osservati da operatori anziani, spesso utilizzatori di un parco macchine invecchiato e senza le essenziali tecnologie moderne, (in grado di meglio prevenire ed impedire i più gravi casi d’incidenti, quali ad esempio il ribaltamento del mezzo).

Per questo le responsabilità istituzionali dovrebbero essere più sollecitate nel raccogliere ogni utile indicazione, che arriva in primis dagli addetti ai lavori, nonché dai diversi territori e filiere, che da tempo sollecitano un ambizioso “Piano Nazionale di Prevenzione in Agricoltura e Silvicoltura”. Un cambio di passo, che archivi la retorica burocratica dei gestori pubblici della materia, anche a livello regionale, favorendone un migliore coordinamento e concertazione con tutti gli essenziali soggetti sociali, rappresentativi nel settore, ad di là delle sole sigle storiche del mondo agricolo. In particolare una strategia innovativa, non può che basarsi sull’implementazione di una rafforzata cultura della prevenzione, attraverso una massiccia campagna di formazione e d’ informazione, in tutto il Paese, anche straordinaria rispetto alle linee fornite dagli organismi europei. Un valore aggiunto peculiare, che possa riassorbire anche le varie “zone franche”, che vanno meglio disciplinate, dal mercato usato delle macchine agricole (con scarsa manutenzione) ai lavori stagionali del verde (dai cantieri forestali a quelli locali del patrimonio boschivo).

Qui va risottolineato altresì il problema cruciale della semplificazione della stessa imponente normativa nazionale di derivazione comunitaria, (D.Lgs.81/2008) certamente tra le più avanzate al mondo, ma forse tra le meno applicate integralmente, specie sul versante della prevenzione e dei controlli, soprattutto per i lavori più precari e stagionali, dove il fenomeno dei braccianti stranieri è prevalente. Su questi temi, il Mcl sia attraverso tutta la sua rete dei servizi, ma anche della sua Als, risulta in prima linea nel denunciarne gli stessi fenomeni degenerativi, quali il caporalato, vera piaga, non solo nel Mezzogiorno.

Allora va richiesta una strategia aggiornata, ma concreta per il settore, senza il solo formalismo degli atti, ma con azioni mirate di intervento, anche integrative a livello territoriale, per affrontare tutta una serie di peculiarità dei fenomeni produttivi. (In Abruzzo, nella fertilissima Piana del Fucino operano da anni migliaia di braccianti stranieri, in prevalenza magrebini e macedoni, dove vanno rafforzate campagne formative ed informative, in doppia lingua, per avere una conoscenza basilare delle normative sulla sicurezza sul lavoro). Qui restano elevate le irregolarità nel ricorso al lavoro nero, che più resta precario e più risulta insicuro, con un aumento proprio degli incidenti tra i lavoratori stranieri, come denuncia un ultimo rapporto Nomisma.

In conclusione il Mcl, proprio attraverso la sua Feder.Agri, può dare un contributo sempre più significativo, nel solco della Dottrina Sociale del la Chiesa, ancor più di fronte alla straordinaria emergenza globale in atto, che deve far riscoprire con maggiore consapevolezza il dovere morale di custodire meglio il Creato, partendo proprio dalla Terra come Bene primario, ambientalmente sostenibile: dal seme fino al cibo.

Sergio Venditti




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet