I giorni della ripresa politica di metà settembre hanno mostrato tensioni e confronti politici sul tema dell’Europa.
L’occasione dell’incontro tra i ministri dell’interno europei ha visto il duro scontro tra Salvini e Asselborn, ministro socialista lussemburghese. Non è stato uno spettacolo edificante e, una volta tanto, il leder della Lega è stato superato, in quanto ad asprezza e volgarità del linguaggio, facendo emergere una sorta di pregiudiziale rancorosa nei confronti del nostro Paese. Quando, in maniera del tutto inappropriata, si definiscono come “fascisti” i “toni e metodi” del leder leghista o, quando gli interventi di esponenti di Bruxelles si palesano come vere e proprie interferenze politiche , si finisce per fare il gioco di chi si vuol criticare . E’ da qualche anno che, troppo spesso, al confronto sulle idee , si va sostituendo un linguaggio aggressivo e scomposto che proprio non fa bene all’Europa,
Peraltro, passando ad aspetti rilevanti che ineriscono i confini meridionali del Continente, le vicende sul fronte libico e non solo, continuano a dimostrare una stagionata autoreferenzialità francese che, come sempre, ostacola la nascita di una prospettiva di politica estera comune, continuando a segnare negativamente la costruzione di una Europa politica. Questo atteggiamento di Parigi non può trovare appigli nella composizione “populista” del governo , in quanto si espresse pesantemente anche ai tempi di De Gasperi e Moro. Ed è una via miope in quanto che il ricorrente “nazionalismo” francese potrebbe finire per lacerare l’”asse” con Berlino e, se la politica estera italiana si mostrasse positiva e dinamica , potrebbero aprirsi spazi importanti per la nostra diplomazia e per una più complessiva prospettiva europea, interpretata da Roma e Berlino, come, in fondo, si registrò negli anni ’50, per l’avvio della costruzione comune.
Sullo sfondo di queste vicende e della necessità di mantenere la “barra” verso l’Europa, vale la pena di registrare la “missione” di Steve Bannon che , dopo aver rotto con Trump, cerca di seminare le sue idee nelle classi politiche del vecchio Continente.
Per la verità, lascia perplessi il fatto che le destre europee sentano il bisogno di attingere alle proposte di “The Movement” – la fondazione con la quale il “guru” americano intende operare in Europa - per quanto attiene alla comunicazione e alla strategia politica. Ciò, forse, rende evidente come le “nuove” destre in Europa si siano attestate su un “pensiero debole” che ha rotto i rapporti con la tradizione della cultura cattolica, ricorrendo , quindi , a idee e strategie di importazione americana. Purtroppo, peraltro, siamo lontani dall’influenza che esercitarono sulla destra americana, negli anni ’60, intellettuali come Russell Kirk e Thomas Molnar dei quali scrisse pagine importanti l’indimenticabile “filofoso–operaio” cattolico Mario Marcolla. Anche l’intenzione di Bannon di costruire un “supergruppo” appare piuttosto velleitaria, in quanto la gran parte dei gruppi ( da quello di Neil Farage a quello della Le Pen ) si muove su una linea nazionalista che non ha interesse a ricercare un ubi consistam comune. La strategia di contrapporre “popolo” ad “èlite”, se non si sviluppa su una dimensione europea, non coglie la dimensione reale della geopolitica attuale.
Non stupisce l’”entente” di Giorgia Meloni con Bannon, invitato alla festa di Atreju. Sono ormai lontani i tempi nei quali Baget Bozzo scriveva ai dirigenti di AN invitandoli ad aprire un confronto con il Partito Popolare Europeo per trovare un riferimento forte sul piano culturale e politico al debole incedere dei postmissini.
Perplessità, invece, suscitano le possibili intese della Lega con l’ex stratega di Trump, in quanto il bivio di fronte al quale si trova il partito di Salvini , cresciuto elettoralmente, è tra l’aprire una prospettiva per contribuire al rinnovo possibile del “sistema” europeo o rifugiarsi nel costruire un’area che potrebbe raccogliere un consenso anche oltre il venti per cento, ma restare isolata nel quadro delle forze dell’europarlamento. Steve Bannon, poi, si è vantato , a proposito della Lega, di essere stato determinante nello spingere per l’accordo di governo con i 5 Stelle. Ed è questo il vero punto limite che svela la debolezza della strategia di Bannon. Per lui c’è un tratto comune, “populista”, tra Lega e 5Stelle, non comprendendone le differenze sostanziali e cioè che la prima nasce dal collegamento con i territori e gli enti locali, con un riferimento popolare alla tradizione italiana dei Comuni, mentre i secondi si sviluppano élitariamente , a partire dalla Casaleggio e Associati, con il supporto della piattaforma Rousseau. Senza contare il piano dei valori di riferimento. Oggettivamente il super gruppo populista di Bannon, che comprenderebbe anche i 5 Stelle, appare incomponibile, per la stessa eterogeneità e autoreferenzialità della sue ipotizzate componenti.
Allora occorre che si faccia chiarezza e che la Lega comprenda bene che l’unica prospettiva sulla quale lavorare è un centrodestra plurale che abbia la forza e la chiarezza di idee di voler contribuire allo sviluppo dell’Europa con la conferma del suo indirizzo unificante e di integrazione, anche con i necessari cambiamenti, ad esempio dando più peso al Parlamento e confermando l’indicazione popolare diretta del presidente della Commissione, aggiornando i trattati poiché questi non possono essere considerati eterni, in quanto stipulati in un’epoca nella quale la politica e le istituzioni non erano ancora condizionate dalla globalizzaione, dallo sviluppo della finanza e da una tecnocrazia che costituisce il portato del tecnoliberismo e degli ecosistemi digitali che mettono in discussione i fondamenti della democrazia, dei valori e delle vere radici dell’Europa.
Pietro Giubilo