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13/12/2017
Una ripresa ‘esogena’
Se il risparmio ha una eccessiva tassazione difficilmente crescerà la sua formazione e la sua accumulazione
Qualcuno lo ricorderà. Un anno fa l'allora premier Matteo Renzi legò le sorti dell'Italia e della sua economia alla vittoria del 'si' al referendum costituzionale da lui fortemente voluto. Visto che una vittoria del blocco del 'no' avrebbe fatto segnare una pesante battuta di arresto nel percorso di uscita dell'Italia dalla crisi. Ci fu insomma uno scontro senza esclusione di colpi fra i riformatori a parole e resto del mondo. Il centro studi della Confindustria, organizzazione vicina al Governo, giunse in soccorso diffondendo delle previsioni negative sul futuro andamento del Pil, dell'occupazione e degli investimenti nel caso avesse prevalso il 'no'. Vale la pena ricordarle. Per i 36 mesi successivi a viale Astronomia si erano così espressi: Pil - 4%, in realtà + 1.5-1.7%; occupazione - 600 mila posti di lavoro, in realtà + 246 mila; investimenti - 17%, in realtà + 0.5%. Che dire! Un clamoroso abbaglio e la prova che la ripresa che stiamo sperimentando è in prevalenza dovuta a fattori esterni e che tutte le riforme (si fa per dire) attuate durante la legislatura sono state neutrali. Crescita esogena significa che venuti meno i venti di bonaccia (quantitative easing della Bce e ripresa degli altri paesi) siamo destinati a tornare a tassi di crescita al di sotto dell’1%. Le stime del FMI per gli anni a venire non si discostano molto da questi valori (+ 1.1% per il prossimo anno. Il motore della crescita “strutturale” di un paese, quella che conta, su cui bisognerebbe intervenire dipende dalle innovazioni tecnologiche e dall’accumulazione del capitale. La ricerca economica ci informa che l’innovazione influisce per il 90% mentre il restante 10% dipende dall’accumulazione di risparmio e di capitale umano. Quando le nuove tecnologie sono utilizzate in maniera efficiente, ovvero incorporate col capitale in base a prezzi e redditività, il Pil del sistema economico aumenta. Da ciò discende che se l’Italia non ha una crescita strutturale adeguata questo dipende dalla scarsa innovazione e da un’accumulazione insufficiente. Tutto ciò, senza fare tanti giri di parole, dipende dalla elevata tassazione. Se le nuove tecnologie vengono tassate risulterà difficile svilupparle ed adottarle. Parimenti se il risparmio ha una eccessiva tassazione difficilmente crescerà la sua formazione e la sua accumulazione. Visto poi che i profitti sono compressi dalla tassazione difficilmente si avranno investimenti in nuove tecnologie. Per un aumento del potenziale di crescita quindi oltre ad una detassazione delle innovazioni e dell’accumulazione servirebbe anche un aumento della concorrenza. I mercati oligopolistici consentono, infatti, ai pochi produttori presenti sul mercato di accaparrarsi le rendite di produzione attraverso prezzi più elevati. Il tutto a scapito dei consumatori che si vedono costretti a pagare prezzi più elevati per beni e servizi. Vediamo ora alcuni dati riguardanti la tassazione. La palla al piede dell’Italia. Dal 2011 ad oggi la tassazione del risparmio è passata dal 12,5 al 26%. Quella aggregata dei profitti è al 66%, con l’invidiabile primato che l’Italia è al primo posto tra i paesi più sviluppati. Mentre la tassazione dei redditi è quasi al 43% sul Pil. Considerando poi che quest’ultimo sul quale viene rapportata è stato rivalutato del 18% per tenere conto dell’economia sommersa la tassazione effettiva supera di fatto di qualche punto il 50%.  Di questo però si sente discutere poco. Il governo pensa a nuove tasse per continuare a finanziare la giostra della fiera. Mentre una parte delle opposizioni pensa a deficit e spesa pubblica, dimenticando che maggiori deficit saranno giocoforza più debito pubblico futuro e nuove tasse per farvi fronte. Col risultato che l'accumulazione di capitale ed il suo investimento risulteranno compressi. Questo stato di cose potrebbe continuare ad andar bene se i fattori esterni continueranno ad essere favorevoli. Ma il vento sta cambiando. Bisognerebbe pertanto prendere in seria considerazione l’annuncio della Bce sulla riduzione del QE e sul probabile aumento dei tassi d’interesse nel prossimo anno. La politica monetaria sarà meno accomodante che negli anni passati e questo dovrebbe metter in guardia un paese come l’Italia che per forza di cose continuerà ad avere deficit di bilancio e ad accrescere negli anni futuri il proprio debito pubblico. Ma nelle promesse elettorali invece di indicare delle ricette che mettano sotto controllo il disavanzo e che stabilizzino la crescita del debito si promette il contrario. Nella prossima primavera dunque, ammesso che il risultato delle urne condurrà ad una maggioranza parlamentare, il nuovo governo sarà chiamato a gestire questa nuova situazione che potrebbe evolvere come nel 2011 con tensioni sui mercati finanziari che condizionerebbero fortemente la gestione del nostro debito pubblico. Per non parlare di un altro fattore di instabilità per ora restato sotto la cenere: i crediti deteriorati presenti nei bilanci delle nostre banche. Quanto avvenuto in passato ci ricorda che su queste criticità bisognerebbe agire in anticipo piuttosto che correre ai ripari quando la situazione è compromessa. Sfortunatamente la campagna elettorale in atto fatta di promesse non compatibili con gli equilibri di bilancio non spinge verso l’assunzione di responsabilità istituzionali e di governo che sarebbero necessarie ed ineludibili per continuare a mantenere l’Italia sul sentiero della stabilità e della crescita. Pertanto nulla di positivo. Staremo a vedere. Ma il nostro ottimismo è solo di circostanza.
 

Marco Boleo




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