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17/10/2017
Sviluppo del sud: tornare un po' indietro per poi andare avanti
Manca purtroppo una visione di insieme, non esiste un brand/simbolo del mezzogiorno, ognuno opera per il suo piccolo territorio
Le regioni meridionali – nel loro convulso mix di geografia, politica e economia – per poter riprendere la strada della crescita sociale dovrebbero ricominciare dal 1950: un “anno santo” per la Chiesa, un “anno memorabile” per lo spirito riformatore dello Stato che seppe esprimere la Riforma agraria e fece nascere la Cassa per il Mezzogiorno (è la legge, sempre attuale, secondo cui ogni progresso consiste inevitabilmente in un ritorno al passato). Fino al 1947 Guido Dorso, con la tenacia degli irpini, aveva sostenuto che per cambiare il volto della “bassa Italia” come si diceva al Nord, occorrevano “100 uomini d’acciaio” perché soltanto loro avrebbero realizzato una vera “rivoluzione meridionale” e subito perché non si poteva più aspettare la “prossima occasione storica”.
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DALLA GUERRA AL RISVEGLIO. In parallelo 2 operazioni: città ripulite dalla macerie dei bombardamenti, campagne che indicavano la nuova via della ripresa. La politica centriste di Alcide De Gasperi avvia la Riforma agraria, una legge che regione per regione prevede piani di intervento (fondi italiani e del Piano Marshall). Per il Sud è la legge Sila che punta a stemperare le tensioni nelle aree agricole. Con la redistribuzione dei suoli, sottratti a chi li aveva fatti inaridire e assegnati a chi poteva rigenerarli, si punta anche a rinnovare i mezzi di produzione. Grazie agli studi di esperti quali Manlio Rossi Doria ed Emilio Sereni, si fa affidamento sui piccoli imprenditori per organizzare cooperative agricole.
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CONVERGENZE PARALLELE. No, non è la enigmatica teoria di Aldo Moro (sarebbe stata elaborata dal leader pugliese alcuni decenni dopo!) ma un positivo “combinato disposto”. Contestualmente alla ripresa dell’agricoltura, si pensa a riorganizzare l’apparato industriale. Occorrono però nuovi servizi e più moderne infrastrutture. A questo deve provvedere la Cassa per il Mezzogiorno, nata per l’ispirazione di un meridionalista come Pasquale Saraceno. L’intervento straordinario si sarebbe sviluppato lungo 8 direttrici: da Napoli a Cagliari, da L’Aquila a Palermo. A Napoli si rivela preziosa, fino al 1969, la presenza di Giuseppe Cenzato, ingegnere industriale ed elettromeccanico, che interpreta bene, insieme con Maurizio Capuano e Alberto Beneduce (primo presidente dell’Iri), gli orizzonti del “meridionalismo razionale”.
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AZIONE E PENSIERO. I tempi promettono bene quando governi e forme politiche sanno intendersi. Nel 1954 due riviste rileggono analiticamente i problemi del Paese e affidano all’intelligenza degli studiosi l’indicazione delle possibili prospettive. Sia pure due versanti diversi, ma con una conflittualità affidata alle idee, svolgono un ruolo prezioso due riviste, ormai punti di riferimento obbligati anche per future ricerche. Da una parte “Cronache meridionali” (cultura di sinistra) fondata da Giorgio Amendola, Francesco De Martino e Mario Alicata); dall’altra “Nord e Sud” (cultura liberaldemocratica) fondata da Francesco Compagna d’intesa con Vittorio De Caprariis, Rosario Romeo e Giuseppe Galasso. A ripensarci oggi, tempi di grande fervore intellettuale con una dialettica vivace e formativa fra le tesi di Dorso, Gaetano Salvemini e Antonio Gramsci e quelle che nascevano dall’insegnamento di Mario Pannunzio, dalla filosofia etico-morale di Benedetto Croce e dalla letteratura di Francesco De Sanctis.
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RIMUOVERE I PREGIUDIZI. Compito delle 2 riviste, eseguito con grande coerenza, è stato quello di rafforzare l’unità del Paese, illustrarne l’identità in una coesione che, pur nelle necessarie diversità, doveva segnare innanzitutto il primato della cultura. E non erano tempi del tutto facili. La classe industriale non si schiodava dalle posizioni del genovese Angelo Costa (presidente della Confindustria per 15 anni): sosteneva che solo un forte sviluppo del Nord poteva, di riflesso, trascinarsi dietro il Sud. La parte più illuminata della politica portava invece attenzione alle tesi delle 2 riviste. “Nord e Sud”, in particolare, si distinse per la “via meridionalista allo sviluppo del Paese” proposta da Francesco Compagna (memorabili i suoi scritti sulle priorità e compatibilità meridionaliste).
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PURTROPPO NON FU TUTTO ORO. Anche la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Il peggio della politica italiana e del mondo economico-industriale riprese presto il sopravvento. La Riforma agraria si inaridì per l’urbanizzazione selvaggia che sottraeva all’agricoltura i terreni più produttivi. La “Cassa” che pur era arrivata a disporre di 150 miliardi (oggi di euro) si esaurì con il sogno del New Deal americano che rimase, appunto, un sogno. Quando venne chiusa, alla metà degli anni Ottanta, si ironizzava dicendo che per questo era stata chiamata Cassa del “Mezzogiorno”, perché all’una non c’era più una lira in cassa. Chi aveva fatto man bassa? Sicuramente il famelico clientelismo della partitocrazia collegata alla malavita più pervasiva. Sul terreno rimaneva un Sud con più infrastrutture, ma con le “cattedrali nel deserto” che erano l’opposto dell’apparato produttivo tanto invocato.
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FUTURO Occorre evidenziare lo stato preoccupante in cui versa il territorio del Sud con il suo alto livello di disoccupazione specialmente giovanile e femminile, con la presenza di vecchi e nuovi poveri, con la tendenza all'invecchiamento per cui alcuni comuni sono presenti 2 anziani per ogni giovane, l'abbandono del territorio di giovani, formati nelle scuole superiori presenti, ma poi costretti ad emigrare per ottenere il " Diritto al lavoro".
Manca purtroppo una visione di insieme, non esiste un brand/simbolo del mezzogiorno, ognuno opera per il suo piccolo territorio, con un turismo che potrebbe essere la chiave è che invece sviluppato a "morsi".Il rischio è che si abbia l'illusione di avere un sistema che funzioni, mentre in realtà non lo si sta gestendo davvero, con un governo che anche sotto questo aspetto ha fatto molto poco davvero, nonostante le ampie ricchezze presenti in tutto il mezzogiorno e che con un po' di infrastrutture porterebbe il brand a livelli ottimali.
Non resta che auspicare che il governo che verrà .....di qui a qualche mese inverta con opere concrete e non gli slogan le politiche per il sud.
Michele Cutolo
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