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05/08/2017
La vita cristiana รจ una vocazione sociale
In ricordo di Paolo VI

Vorrei ricordare Paolo VI soprattutto avvalendomi di alcune sue ultime indicazioni, in occasioni di messaggi e udienze ormai ridotte per l’avanzare della malattia, ma sempre tanto densi di elevata vocazione magisteriale. Fu lui, conoscendo la disponibilità dell’MCL, a ricercare la soluzione dei non facili problemi del mondo del lavoro, attingendo, come punto insostituibile di orientamento al messaggio cristiano, così come veniva proposto dal Magistero della Chiesa, a suggerire parole di incoraggiamento e a proseguire nel compito tanto delicato affidato a ciascuno di noi, in ordine alla effettiva realizzazione delle iniziative promosse. Nacque proprio così l’MCL.

Tutti sappiamo come il mondo d’oggi sia invaso da una quantità di idee, che possono giovare alla cultura o all’attività del mondo sociale, ma che per la loro stessa molteplicità, per la loro mutabilità e per la debolezza intrinseca della loro corrispondenza con la verità generano una mentalità sempre problematica e spesso superficiale. L’uomo moderno è assai cresciuto nelle sue conoscenze, ma non sempre nella solidità del suo pensiero, non sempre nella certezza di possedere la verità. Invece ecco il fatto singolare dell’insegnamento della Chiesa, che non deriva dalla sua propria sapienza, né dal controllo propriamente scientifico e razionale di ciò che ella predica ai suoi fedeli; ma dal fatto che essa annuncia una parola che deriva dal Pensiero trascendente di Dio. È questa la sua forza e la sua luce che il papa chiama trasmissione incomparabile del Pensiero, della Parola di Dio: la fede.

Su questo tema così ampio e importante, era deciso. (cito tre punti).

1. la natura di questa conoscenza: essa non è contraria alla ragione, ma è superiore alla ragione. Cristo si è fatto maestro nostro per insegnarci Verità, che di per sé superano le nostre capacità. Solo gli umili le accettano e così vivono in un’atmosfera di sapienza, d’ordine superiore.

2.  necessità di avere e di professare la fede: «Senza la fede - è scritto nella lettera agli Ebrei - è impossibile piacere a Dio» (Hebr. 4, 6). E quante volte nel Vangelo si fa l’apologia della fede, che il Signore trova scarsa perfino nei suoi discepoli: «Uomo di poca fede - dice il Signore a Pietro che stava per affogare - perché hai dubitato?» (Matth. 14, 31) e lo riporta a galla.

3. è un campo immenso di esperienza spirituale: ce lo ricorda San Paolo: «La fede opera mediante la carità» (Gal. 5, 6). Il che vuol dire che nella fede troveremo la pienezza della vita cristiana, la fortezza, la gioia, il conforto della vita divina a noi comunicata.

Ricorderò sempre, in occasione del Messaggio della Pace del 1 gennaio 1978,  la parola “pace” ci opprime e ci esalta. Essa discende dal regno dei cieli; noi ne avvertiamo la trascendenza profetica, mai spenta dalle nostre umili labbra, «Pace in terra agli uomini oggetto della benevolenza divina» (Lc. 2, 14).

Sì, noi ripetiamo, la Pace deve essere! La Pace è possibile! Non è sogno puramente ideale, non è un'utopia attraente, ma infeconda e irraggiungibile; è, e dev'essere, una realtà da generare ad ogni stagione della civiltà, come il pane di cui ci nutriamo, frutto della terra e della divina Provvidenza, ma opera dell'uomo lavoratore.

Poi, a seguire, la supplica alle soglie di questo nuovo anno (1978), tutti gli uomini di buona volontà, le persone responsabili della condotta collettiva della vita sociale, i Politici, i Pensatori, i Pubblicisti, gli Artisti, gli ispiratori della opinione pubblica, i Maestri della scuola, dell'arte, della preghiera, e poi i grandi ideatori ed operatori del mercato mondiale delle armi, tutti, a riprendere con generosa onestà la riflessione circa la Pace nel mondo, oggi! 

Avvertiva inoltre due fenomeni che si impongano alla comune attenzione con facile sopravvento nella valutazione della Pace stessa.

Il primo fenomeno è positivo, ed è costituito dal progresso evolutivo della Pace. Essa è un'idea che guadagna prestigio nella coscienza dell'umanità; avanza, precede e accompagna l'idea del progresso, che è quella dell'unità del genere umano. La storia del tempo nostro, sia una splendida documentazione in favore della Pace, pensata, voluta, organizzata, celebrata e difesa, come confermano le speranze poste alla Sessione Speciale dell'Assemblea Generale dell'O.N.U., consacrata al problema del disarmo.

Nessuno oggi osa sostenere come principii di benessere e di gloria dei programmi dichiarati di lotta micidiale fra gli uomini, cioè di guerra.

Certo, era preoccupato del diffondersi nella vita moderna, profittando delle agevolazioni di cui gode l'attività del cittadino per insidiare e colpire, a tradimento di solito, il cittadino-fratello, che ostacola legalmente un proprio interesse. Questa violenza, che oggi definiamo privata, anche se organizzata in gruppi clandestini e faziosi, assumeva già proporzioni preoccupanti, tali da diventare costume. Si potrebbe definire delinquenza, per le espressioni antigiuridiche in cui si esprime, ma le manifestazioni, ch'essa da qualche tempo e in alcuni ambienti va dispiegando, esigevano un'analisi propria varia e difficile. Essa deriva da una decadenza della coscienza morale, non educata, non assistita, permeata di solito da un pessimismo sociale, che ha spento nello spirito il gusto e l'impegno della onestà professata per se stessa, nonché ciò che vi è di più bello e di più facile nel cuore umano, l'amore, quello vero, nobile e fedele.

Spesso la psicologia del violento partiva da una radice perversa di vendetta ideale, e quindi d'una giustizia insoddisfatta, macerata in pensieri amari ed egoisti, e spregiudicata e sfrenata verso qualsiasi scopo; dove il possibile sostituisce l'onesto; solo freno è il timore d'incorrere in qualche sanzione pubblica e privata; e perciò l'atteggiamento abituale di questa violenza è quello dell'azione nascosta e dell'atto vile e proditorio, che ripaga la violenza stessa col successo impunito.

La violenza non è fortezza, ma è l'esplosione d'una cieca energia, che degrada l'uomo il quale vi si abbandona, abbassandolo dal livello razionale a quello passionale, conducendo alla rivoluzione, e la rivoluzione alla perdita della libertà.

È forse il caso di ricordare la frase di Cristo contro il ricorso impulsivo all'uso d'una spada vendicativa: «...Tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada» (Mt. 26, 52). Ricordiamo allora: la violenza non esalta, ma umilia l'uomo che vi fa ricorso.

Ma non possiamo chiudere gli occhi sulla triste realtà della guerra parziale, (oggi a pezzi!) sia perché essa conserva la sua feroce presenza in zone particolari, sia perché psicologicamente essa non è affatto esclusa nelle brutte pagine della storia contemporanea. La nostra guerra contro la guerra non è ancora vinta e il nostro «sì» alla Pace è piuttosto ottativo che reale, perché in tante situazioni geografiche e politiche, non ancora composte in giuste e pacifiche soluzioni, rimane endemica l'ipotesi di futuri conflitti. Il nostro amore alla Pace deve rimanere in guardia; anche altre prospettive che non quella d'una nuova guerra mondiale ci obbligano a considerare e ad esaltare la Pace anche al di fuori delle trincee militari.

Per questo, noi dobbiamo oggi difendere la Pace sotto il suo aspetto, potremmo dire metafisico, anteriore e superiore a quello storico e contingente della pausa militare; vogliamo considerare la causa della Pace rispecchiata in quella della vita umana stessa. Il nostro «sì» alla Pace si allarga ad un «sì» alla vita. La Pace deve affermarsi non soltanto sui campi di battaglia, ma dovunque si svolge l'esistenza dell'uomo.

Vi è poi una Pace che tutela questa esistenza non solo dalle minacce delle armi belliche, ma una Pace che protegge la vita, dal suo primo accendersi all'esistenza, è sacra. La legge del «non uccidere» tutela questo ineffabile prodigio della vita umana con trascendente sovranità.

Poi rivolto ai ragazzi li esortava nella crescita a cambiare la maniera di pensare e di agire del mondo d'oggi, che è sempre pronto a distinguersi, a separarsi dagli altri, a combatterli: non siamo tutti fratelli? non siamo tutti membri della stessa famiglia umana? e non sono tutte le Nazioni obbligate ad andare d'accordo, a creare la Pace? Voi, ragazzi del tempo nuovo, dovete abituarvi ad amare tutti, a dare alla società l'aspetto d'una comunità più buona, più onesta, più solidale.

Concludo ricordando la sua grande lezione sull’impegno per il bene sociale.

Una vera tabella di marcia dell’MCL: La vita cristiana è  una vocazione sociale. Questa affermazione sembra eccessiva, e ammette in pratica una diversa formulazione; e cioè: la vita cristiana è una vita personale, interiore; per trovare la sua autenticità deve isolarsi, farsi solitaria, difendersi dal contagio di contatti profani, idealizzarsi in un’espressione individuale e fuggire le tentazioni della conversazione esteriore, immunizzarsi dall’influsso della moda e del costume sociale. Ed è vero, perché l’uomo ha bisogno degli altri, anzi ha il dovere di occuparsi degli altri, è obbligato al grande precetto dell’amore, il quale ha estensione ben più ampia di quella circoscritta all’amore della famiglia, della parentela, della cittadinanza.

Noi dovremo perciò ricordarci di questa legge sovrana, caratteristica del cristianesimo vivo, non puramente consuetudinario, o praticato in modo da renderlo un antidoto ai fastidi e ai pesi della convivenza sociale. Dobbiamo guardarci dalle tentazioni di antisocialità, che la vita vissuta può generare anche in quelli che si propongono un programma onesto di convivenza sociale, ma si difendono dalle noie e dalle obbligazioni che il rapporto comunitario può portare con sé. È questo forse per molti cristiani il momento di una tentazione antisociale, perché è questo un momento in cui la società è in fase di cambiamento; può produrre un senso di molestia, o di offesa, il quale spinge l’individuo o alla reazione, o alla indifferenza della norma disturbatrice, nuova e prevalente.

E mettiamo nel nostro programma propositi tanto più vigilanti, tanto più operosi per il bene sociale quanto più questo sembra escluso dai nostri gusti e dai nostri interessi. Il bene, battezzato dal segno cristiano, deve farsi tanto più sollecito della propria presenza, della propria ingegnosità, della propria generosità quanto meno le condizioni esteriori sono propizie alla sua accoglienza e al suo sviluppo. Il cristiano, anche se l’inquadramento sociale tende a ridurlo al silenzio, a farne un numero della massa, a spegnere in lui la scintilla della sua fede e del suo amore, possiede sempre in se stesso un principio originale di bontà e di azione, che spesso, come l’esempio dei Santi e dei buoni ci insegna, ha saputo trarre dal contrasto dei tempi l’idea e la forza per attestarsi in forma nuova e per tutti salutare. La saggezza sarà quindi non nella fuga e nella rassegnata rinunzia, ma nella tacita e tenace presenza in quell’ambiente sociale che non sembra propizio alla buona riuscita dell’ iniziativa cristiana. «Patientia vobis necessaria est, la pazienza è a voi necessaria» (Hebr. 10, 36. 101), noi ripeteremo per quei nostri amici e fedeli, che sperimentano talvolta le difficoltà dell’azione nel campo dell’ attività libera ed onesta, che pur dovrebbe essere aperto alla buona volontà di tutti.

Forti delle sue esortazioni all’MCL, nel comune impegno con questa prospettiva, che giustifica il Movimento e lo rende elemento vivo ed importante dell’intera comunità ecclesiale. A questo e a tanto altro siamo profondamente riconoscenti e lo ringraziamo di cuore per essere stato un “grande” con la mano sempre tesa verso tutti.

 

Gilberto Minghetti

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