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22/05/2017
Favole e realtà
Gli equilibri sono multipli e per ora la sorte ci ha fatto sempre raggiungere quello positivo. Non sarà così per sempre.

La realtà ha preso il sopravvento sulle favole raccontate finora da coloro i quali legavano i problemi di crescita del continente europeo alle politiche fiscali restrittive volute da Bruxelles. I keynesiani idraulici lamentavano di un’Europa intrappolata nella gabbia dell’euro e degli Stati Uniti, invece, liberi di crescere. Negli ultimi due anni però le cose sono cambiate ed i cantastorie dell'austerità ora hanno indosso i nuovi vestiti dell'imperatore: sono nudi!, come nella favola di Hans Christian Andersen. Perché il Re è rimasto nudo? Cerchiamo di capirlo con i fatti e non con le chiacchiere da bar dell’economia. Iniziamo con la situazione dell’Italia: un paese fallito sia culturalmente che economicamente. Nel primo trimestre 2017 tutti i paesi europei tranne la Grecia, son cresciuti più dell'Italia. Nello stesso periodo, invece, l'Europa è cresciuta due volte e mezzo più degli Usa mentre nel 2016 l'Europa è cresciuta come gli Usa. Da parte sua nel 2016 l'Italia ha raggiunto un tasso di crescita del 50% inferiore a quello europeo e secondo le previsioni nel 2018 la Grecia dovrebbe superare il tasso di crescita dell'Italia. Cosa ci dicono i dati? Se l'Europa cresce da due anni come e più degli Usa che sono una area valutaria ottimale (AVO) per la proprietà transitiva anche l'Europa dovrebbe essere una AVO.  In altre parole l’euro non è un problema per la crescita e se un paese ristagna la responsabilità è solo e unicamente sua, visto che tutti gli altri paesi nelle stesse condizioni crescono. Ora, noi possiamo pure continuare a raccontarci le favole sull'euro brutto e cattivo, ma i dati sono inequivocabili: tutti i paesi europei tranne Italia e Grecia stanno crescendo da due anni come gli Usa. Pare che se ne sia accorto anche il nostro Ministro dell’Economia, copia sbiadita del capo economista dell’Ocse che da quando ricopre la carica di Ministro dell’Economia ha delle continue amnesie su quanto raccomandava da Parigi. Cosa vale una poltrona a via XX Settembre! Su crescita e governance europea in un sussulto di verità pare che abbia di recente dichiarato secondo quanto riportato dall’Ansa: “L’austerità è una parola che non si sente più da tempo. Il problema è quello di conciliare la crescita con la sostenibilità della finanza pubblica, e quindi politica di bilancio ma anche riforme strutturali”. Ha ragione su tutto il fronte.

La parola “austerità”, infatti, non si sente da due anni a questa parte in Europa, dove la posizione fiscale è abbastanza espansiva. Per non parlare dell’Italia, visto che anche la nostra “posizione fiscale”, misurata dal saldo di bilancio “strutturale”, è espansiva per il terzo anno consecutivo. In un tuffo nel mare della realtà bisognerebbe interrogarsi sui perché l’Italia proceda a passo di tartaruga nella corsia di emergenza dell’autostrada europea visto che non riesce a crescere più di uno scarso 1% annuo. Malgrado il bazooka di Mario Draghi sia ancora in azione e sebbene gli altri paesi siano in fase di crescita e di traino dell’intero convoglio. Finora la foglia di fico dell’austerità aveva tenuto nascoste le nostre nudità strutturali. Quando si è inseriti in una Unione Monetaria che di fatto non ha alcun organo di controllo che condizioni le politiche economiche praticate dai singoli paesi si hanno equilibri finanziari alla lunga non sostenibili. Questo perché da sempre a Bruxelles si accontentano soprattutto di semplici “quadrature contabili” avulse dalla composizione di entrate ed uscite. Nell’ultima legislatura, coi suoi tre governi all’attivo: Letta, Renzi e Gentiloni, con le leggi di stabilità via via approvate si sono avallati saldi di bilancio di pessima qualità provocati dall’alto grado di corporativismo che permea il nostro sistema economico e che tutela gli insider. Tagli lineari e misure tampone in attesa della crescita questo il refrain. Aspettando la crescita, nel crinale nel quale ci siamo incamminati continuiamo in ogni caso a perdere competitività, gradualmente ma ahinoi inesorabilmente. Proseguendo di questo passo ogni volta gli aggiustamenti saranno più infausti ed incerti e abbasseranno il potenziale di crescita del nostro paese. Stiamo percorrendo insomma un sentiero che ci potrebbe portare dritto verso il default. Gli equilibri sono multipli e per ora la sorte ci ha fatto sempre raggiungere quello buono. Non sarà così per sempre visto che il Quantitative Easing di Draghi non sarà come un diamante della De Beers. Il resto sono solo chiacchiere da bar dell’economia e da economisti laureati dal web.

Marco Boleo




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