Pur restando alta la confusione e netta la spaccatura che va profilandosi tra le forze politiche , si stanno iniziando ad individuare i termini del confronto sulla legge elettorale.
Da parte del PD, ormai omologato su Renzi, si insiste su proposte sostanzialmente maggioritarie fondate sui collegi uninominali . Anche la mediazione di Verdini mantiene una forte impronta maggioritaria, corretta da un 50 per cento di quota proporzionale con liste bloccate. Con questa proposta si accentua uno dei punti più negativi delle recenti regole elettorali e cioè quello delle candidature bloccate che, mentre nell’Italicum riguardavano solo i capilista, con la proposta di ALA/PD verrebbero estese a tutta la lista proporzionale. Già i collegi uninominali presentano l’ambivalenza di un candidato votato dai cittadini , ma scelto dalle segreterie, con le liste bloccate si deciderebbe prima delle elezioni la gran parte dei componenti delle Camere. Tutto ciò come non fosse successo niente il 4 dicembre, quando il popolo italiano bocciò quella che veniva ritenuta – e, per la verità, lo era – una svolta verticista delle istituzioni.
Si oppone a questa linea, il disegno di legge che aveva costituito il testo base, poi ritirato, nella competente commissione della Camera e sul quale sarebbero dovuti arrivare, entro il 19 maggio, la pioggia degli emendamenti. Questa proposta si connota in termini proporzionali. Le liste presenterebbero candidati bloccati in 100 colleghi per la Camera e 50 per il Senato, per il resto la doppia preferenza di genere; con una soglia di sbarramento bassa che dovrebbe essere armonizzata rispetto alle norme sopravvissute alle sentenze e senza premio di coalizione, ovvero mantenendo il necessario 40 per cento dei voti per accedere al premio di lista. Convergerebbero oltre all’ondivago Movimento 5 Stelle, Forza Italia e i partiti minori: dagli scissionisti del PD, alle formazioni centriste e ultrasinistre .
In tutte le proposte restano pesanti ambiguità, soprattutto in ordine alle candidature plurime e bloccate. Si tratta di una negativa distorsione della rappresentanza, in quanto, mancando la scelta dell’elettore, aumenta la distanza delle istituzioni rispetto alla società, allontanando quella necessaria intermediazione che, invece, va ricostruita.
Rispetto alla questione fortemente dirimente tra un sistema proporzionale ed uno maggioritario, si avanza frequentemente la tesi che quest’ultimo assicurerebbe maggiore governabilità. Per la verità, proprio l’esperienza dei vari sistemi con maggioritario di coalizione o, addirittura anche quello che si accompagnò al tentativo bipolare (PDL e PD), che sono stati adottati negli ultimi venti anni, ha dimostrato che tali forzature non tengono di fronte all’asprezza del confronto che, proprio la corsa a conquistare il premio , accentua tra e nelle forze politiche.
Nel PD è scomparsa la cultura del confronto . Al contrario si è consolidata una idiosincrasia verso una politica che preveda la ricerca dell’accordo , cioè una politica che si apra ad una più ampia rappresentanza e, su tale base, realizzi una governabilità adeguata alla complessità dei problemi e delle sfide di oggi. Matteo Orfini, luogotenente dell’ordine renziano, in una recente intervista a Repubblica, ha affermato che il partito esce “rafforzato dalla primarie” ed ora “tutti devono collaborare col vincitore”, concludendo, sul piano politico generale, che “le coalizioni hanno rovinato il Paese”. Si tratta di una assai banale riaffermazione di un leaderismo personale e la sua critica non è solo rivolta all’abolizione delle alleanze preelettorali, ma al rigetto di ogni forma di accordo, equiparato all’”inciucio”. Quando il neo confermato presidente del partito sottolinea che “serve un progetto riformista e di sinistra allargato ad altri mondi”, conclude , perentoriamente : “questo progetto è il PD”. Il partito riassumerebbe in sé l’indirizzo riformatore: e ’ la caricatura del concetto gramsciano di egemonia, anche perché la linea politica e culturale del PD – se c’è - si va sempre più costruendo a servizio della cultura e del potere dominante.
Infine segnaliamo, con qualche perplessità, come anche Romano Prodi sembra soggiacere al mito della qualità taumaturgica del “maggioritario”, quando, nel solito editoriale domenicale sul Messaggero, ha affermato che “le leggi elettorali di tipo proporzionalistico … avranno il risultato di frantumare ulteriormente la politica italiana, rendendo impossibile ogni decisione”. A parte l’enfatizzazione decisionista e l’addossare a tale normativa una responsabilità che ha ben più profonde cause, la tesi di Prodi appare ancora più ambigua quando, per avvalorarla , arriva a scrivere che in Francia la “legge elettorale fortemente maggioritaria” , “le ha reso possibile di essere considerata l’indispensabile partner della Germania”. Dimentica l’ex Presidente del Consiglio che l’asse Parigi-Berlino nacque con la Presidenza di De Gaulle che non si accontentò del ”maggioritario”, ma diede alla Francia uno Stato presidenziale . Che la critica al proporzionale giunga a esaltare il presidenzialismo di De Gaulle non è solo un cambiamento dei tempi , ma forse anche , una crisi della capacità di riflessione culturale e politica della sinistra.