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25/03/2017
Cosa c’è dietro la difesa dei voucher
Il problema è che la classe politica italiana non sembra in grado di correggere queste riforme seguendo una strategia concertata

La dichiarazione di Carlo Costalli sull’abolizione dei voucher - «ennesimo grave errore di una politica schizofrenica e poco lungimirante, una politica che continua a far prevalere le scelte tattiche del momento nonostante facciano male al Paese» - è stata presa come un colpo basso da molti politici, eppure si tratta di un giudizio coerente con un’analisi di lungo periodo che il Movimento cristiano lavoratori alimenta da decenni e che è stata confermata dal suo ultimo congresso, tenutosi nel marzo del 2014.

La bocciatura della scelta di abolire i voucher, come abbiamo detto, non poteva essere più secca, espressione, ha detto il presidente del Mcl di «una politica che non è in grado di avere una visione generale e a un governo debole che non ha avuto il coraggio di affrontare, nei mesi precedenti, le correzioni necessarie a raddrizzare le storture derivanti da un uso improprio dei voucher: storture già evidenti anche durante il governo Renzi, e più volte denunciate…». 

Fermiamoci qui: non si tratta di una bocciatura soltanto politica, ma di un giudizio storico, che costituisce l’epilogo di un’analisi intorno alle politiche riformiste del centrosinistra di Matteo Renzi, visto inizialmente come un innovatore ma poi giudicato dal Mcl come un’esperienza fallimentare. Non ci riferiamo soltanto a giudizi come il seguente: «Il Paese langue, bloccato da una politica ormai perennemente distratta dalla voglia di elezioni anticipate e da polemiche inutili e strumentali, che ne impediscono la crescita: tutto questo mentre lavoro e lotta alla povertà rimangono le vere priorità del Paese, emergenze inascoltate e ancora da risolvere». Non si tratta neanche del voucher in sé, la cui abolizione peraltro «porterà come conseguenza un aumento del lavoro sommerso, che è la vera piaga di questo Paese».

La preoccupazione di Costalli e del mondo cattolico riformista si concentra sulla tenuta del sistema democratico, con particolare riferimento alle politiche economiche e sociali. Si tratta cioè di una critica verso quei «riformisti che annullano le riforme invece di correggerle, e che sarebbero stati pronti persino a rinnegare il Jobs Act se la Consulta non avesse bocciato il referendum per paura di un 4 dicembre bis: un Jobs Act che, invece, ha necessità di profonde correzioni». Costalli, nelle sue esternazioni, prende di mira sovente il Jobs Act e con esso la politica economica del gabinetto Renzi, perché ritiene che serva un profondo ripensamento sulle normative sul lavoro ed è scettico sulla capacità del governo di condurla in porto. Parla di assenza di visione generale e di debolezza pur avendo messo in chiaro, in tempi non sospetti, di essere contrario a risolvere i problemi del lavoro con referendum e colpi di mano. La visione del Mcl è quella che tali temi vengano rimandati a un confronto con le parti sociali, le quali sui voucher avrebbero molto da dire. Secondo Costalli, infatti, »sono stati una bella invenzione, poi si è allargato il loro utilizzo in modo indiscriminato».

Il problema è che la classe politica italiana non sembra in grado di correggere queste riforme seguendo una strategia concertata e la “schizofrenia” denunciata, che sicuramente entrerà nella riflessione del consiglio nazionale del Mcl, peraltro dedicato ai temi europei, mette in mora tutta la politica italiana, in una fase in cui sarebbe essenziale intervenire. E’ questa la natura della preoccupazione costalliana: non politica, non congiunturale, bensì storica e strutturale, come lo sono i problemi del sistema economico nazionale. 

Un anno fa, a Senigallia, dialogando con il giuslavorista Michele Tiraboschi, lo stesso Costalli convenne che «i giovani e il lavoro hanno troppe difficoltà a incontrarsi nel nostro Paese e forse la colpa è anche delle riforme non propriamente eccellenti messe in atto in questi anni dai nostri Governi. L’impegno in aiuto dell’occupazione non può tradursi solo in tecnicismi o in meri strumenti legislativi e normativi senza tenere presente i reali bisogni delle persone», come dichiarò Tiraboschi. E Costalli chiosò: «I giovani sono il futuro del nostro Paese e vanno accompagnati in maniera concreta verso un maggiore protagonismo. Ma servono delle riforme che li mettano al centro, e soprattutto serve una classe politica in grado di ascoltarli». 

Questa priorità non ha nulla di occasionale nel pensiero del Mcl. Se torniamo ai documenti del XII Congresso, infatti, oltre a ribadire la centralità del lavoro e a declinarvi la Dottrina Sociale di papa Francesco, il Mcl constata con preoccupazione «che il primato del lavoro, che pure è stato al cuore della grande crescita economica e sociale del XX° secolo, oggi non è affatto scontato: il lavoro oggi non è più al centro delle politiche economiche, assistiamo da tempo al presentarsi di teorizzazioni e scelte che hanno relegato in secondo piano il problema dell’occupazione». In altre parole, secondo il Mcl, al di sotto della “schizofrenia” politica - che cancella le riforme incompiute senza aver il coraggio di andare fino in fondo - lavora un’ideologia che toglie primato al lavoro e quindi orienta gli sforzi verso altre priorità, soffocando le giovani generazioni di lavoratori nella loro culla, perché senza riforme che connettano la flessibilità alla creazione di nuova occupazione ci si adagia in una situazione di sfruttamento del precariato in cui i giovani italiani sono destinati a diventare “carne da cannone”, al servizio di un’economia che uccide, come insegna papa Francesco. 

Un'emergenza nazionale che non a caso il cardinale Angelo Bagnasco ha segnalato in una delle sue prolusioni più importanti, pochi giorni fa, parlando di  «sofferenza insopportabile» ed elevando - anche lui, a conferma dell'unitarietà della strategia ecclesiale- un richiamo alla politica, che dovrebbe lavorare a capofitto su questo dramma.

​Stefano Accomo




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