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25/02/2017
Ritornati a riveder i vecchi lidi nel mercato del lavoro
i ‘governativi’ stanno cercando di stendere una foglia di fico sulla nudità dei dati
La diffusione dei dati sull'occupazione da parte del INPS o del ISTAT nel nostro paese, specialmente negli ultimi anni, è sempre venuta a riaccendere un dibattito mai sopito sull’efficacia degli interventi di policy tra ‘governativi’ ed ‘indipendenti’. Nel quale i primi: gli ottimisti, hanno sempre tessuto le lodi dei provvedimenti adottati ad esempio nel mercato del lavoro. Mentre i secondi: i gufi, hanno sempre invitato alla cautela, visto che le tendenze che emergevano avrebbero potuto avere uno spettro di interpretazioni. Puntualmente mentre scriviamo si è ravvivato di nuovo il dibattito. L'occasione questa volta è stata offerta dai dati definitivi del INPS per il 2016. Da una rapida lettura potremmo dire che la diminuzione dal 100 al 40% degli sgravi contributivi elargiti negli ultimi due anni dal governo Renzi, per incentivare la stabilizzazione dei contratti, ha dato ragione ai gufi. Dopo il forte incremento di nuovi assunti in pianta stabile nel 2015, infatti, terminata la droga degli incentivi lo scorso anno il loro numero è stato inferiore perfino a quello registrato nel 2014 in assenza di stimoli. Giù anche le trasformazioni di contratti a termine in tempo indeterminato! E i licenziamenti sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono saliti da 624 mila a oltre 646 mila. Le trasformazioni hanno un saldo positivo di circa 82 mila contratti ma con una flessione del 91%. Anche in questo caso i governativi stanno cercando di stendere una foglia di fico sulla nudità dei dati spostando il ragionamento sul miglioramento complessivo del mercato del lavoro con - come ha ricordato il ministro Poletti – un incremento di poco più di 1 milione di contratti a tempo indeterminato. A fare i pignoli però è una numerologia che dice poco o nulla visto che andrebbe spiegata la differenza tra le persone occupate  e le unità di lavoro equivalente a tempo pieno.
 
Si potrebbe pertanto avere una crescita degli occupati ma in presenza di una diminuzione delle ore complessivamente lavorate. Solo a titolo di esempio: due part time, a livello statistico, corrispondono ad una unità di lavoro equivalente. In altre parole, i dati statistici prestano il fianco a diverse interpretazioni, e il privilegiare alcune informazioni al posto di altre è nostro malgrado una scelta politica e non solo tecnica. Molti ‘gufi’ negli ultimi due anni avevano richiamato l’attenzione sui rischi legati ad una politica di assunzioni incentivate dalla decontribuzione. Le imprese hanno avuto un forte incentivo a stipulare un nuovo contratto con lavoratori che grazie al Job Act,   alla bisogna ed a basso costo appena terminato l’incentivo, avrebbero potuto facilmente licenziare. I dubbi sulla stabilità della crescita dell’occupazione di coloro che non erano allineati sulle posizioni del governo erano rafforzati anche dal verificarsi di una crescita dell’occupazione in assenza di crescita del Pil.  La crescita di una ‘buona e duratura occupazione’ passa sempre sul sentiero impervio della crescita della produttività. Tutte le altre strade alla fine si rivelano effimere e senza uscita. I deludenti risultati del Governo Renzi sono dovuti all’aver puntato, come i governi che lo hanno preceduto almeno negli ultimi vent’anni, solo sulla ‘moderazione salariale’. Dagli anni 90’ del secolo breve ad oggi, infatti, si sono avute almeno sei riforme delle pensioni e tre riforme dei contratti di lavoro: con le ‘riforme strutturali’ che hanno riguardato solo ‘il versante del lavoro’. Quasi assenti quelle ‘sul lato del capitale’ e su ‘quello dello Stato’. Le sole riforme sul versante del lavoro hanno ridotto da un lato il costo del fattore lavoro ma come rovescio della medaglia hanno incoraggiato le imprese italiane a rimanere in settori produttivi tradizionali dove i prodotti sono scarsamente differenziati, a basso contenuto tecnologico e soggetti ad una forte concorrenza dei paesi emergenti. Per invertire questo inesorabile declino urgono nuove riforme atte ad incoraggiare investimenti innovativi ed a spingere fino al completamento la ristrutturazione del sistema industriale che non può più essere rinviata.
 
Marco Boleo
 

 




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