Da martedì la Commissione affari sociali della Camera si riunirà per esaminare i 290 emendamenti relativi alla cosiddetta legge sul "fine vita". La Commissione dovrà concludere i lavori entro il 30 di gennaio, un tempo assai ristretto per poter vagliare i 290 emendamenti di merito. Visto la delicatezza della materia trattata, si spera che la Camera accolga la richiesta della Commissione di estendere il periodo della discussione di qualche settimana, per dare il tempo necessario per procedere ad una serena disanima degli emendamenti. Anche perché non si capisce tutta questa fretta - al di là della dolorosa storia di Fabiano Antonani che ha chiesto al presidente Mattarella la possibilità di un'eutanasia attiva - in un momento in cui il nostro Paese è alle strette con problemi urgenti e gravi, che vanno dalla crisi economica e del lavoro alle migrazioni, fino alle tragedie dei nostri territori devastati dai cataclismi e dall'incuria istituzionale. Si può maliziosamente pensare che si voglia far distogliere lo sguardo da quanto sta accadendo per mascherare incapacità e responsabilità, come è già accaduto per le cosiddette unioni civili. Ma non si può essere maliziosi in frangenti come questi e di fronte a temi tanto delicati quanto essenziali nella nostra vita personale e di comunità. I nodi da affrontare sono molteplici e sono pieni di incognite: l'obiezione di coscienza dei medici; l'alimentazione e l'idratazione assimilate a terapie e che come tali possono essere rifiutate; la volontà sul fine vita che diventa un'imposizione nei confronti del personale sanitario; le responsabilità penali; la vaghezza e l'arbitrarietà di concetti come la "qualità della vita"; il timore dell'introduzione dell'eutanasia. Tutto questo necessita di un confronto serio, capace di superare la contrapposizione ideologica e le strumentalizzazioni di parte, perché ci troviamo a dover affrontare un tema delicato come la morte, e dunque come la vita e come il senso della vita.
La posta in gioco è proprio questa: la vita e il suo senso. Pensare di ridurre il travagliato percorso che ciascuno di noi fa per scoprire chi è, a delle procedure da seguire che ci esimono dall'esprimere un giudizio su cosa è bene e cosa non lo è, su cosa è giusto e cosa non lo è, su cosa è degno e su cosa non lo è, significa l'eutanasia dell'umano. Una legge è certo necessaria per porre dei paletti, dei limiti, degli argini, per non lasciare un indiscriminato potere d'arbitrio a medici e giudici, ma nessuna legge, neppure la più giusta, può esimerci dal paragone con il singolo caso, può salvarci dalla fatica di guardare in faccia al singolo dolore e di rispondere a quel dolore. La tentazione è quella di annacquare la nostra coscienza attraverso le norme, attraverso le procedure, è quella di delegare a decisioni già prese, dal legislatore o dal paziente, in un rapporto privo di relazione. E vi è pure la tentazione opposta, quella di lasciare stabilire al libero arbitrio dei giudici, dei pazienti, dei familiari, ciò che è degno, ciò che vale, ciò che è vita. Sembra un paradosso, ma non lo è. Questi due tipi di tentazione hanno in comune un aspetto fondamentale, ossia di prescindere dalla relazione, di cercare il bene al di fuori di una relazione. Così facendo la persona viene ridotta ad individuo, si inceneriscono i rapporti, e proprio nel momento più difficile crolla il senso del vivere comune, dello stare insieme. Il tema del fine vita, così delicato e così estremo, fa emergere in modo chiaro la consistenza o l'inconsistenza della nostra vita comunitaria, ci costringe a guardare per quello che realmente sono le fondamenta della nostra società. Diventa, quindi, piuttosto chiaro che il livello della sfida che ci attende non è politico o sociale, ma è antropologico. Ed essendo antropologico si riflette nell'ambito politico e sociale. È necessario ristabilire il giusto ordine delle cose, riconoscere il primato dell'umano, per non chiedere alla politica e al legislatore risposte che non possono dare. Il confronto è tra queste due tendenze, tra chi crede che la legge possa esaurire tutta l'esperienza del vivere e chi ritiene che protagonista, anche nella legge, sia l'uomo, come si sta vedendo anche in sede parlamentare. L'augurio è che non si voglia liquidare una faccenda così importante e così grave senza dare il giusto peso al dibattito e che, magari, proprio nel dibattito si possano trovare le ragioni per affrontare anche tutti gli altri urgenti problemi che abbiamo. L'augurio è che si riesca riconoscere, come la nostra Costituzione fa, il primato della persona, l'essere umano che vive in relazione, una relazione che è sempre tesa, consapevolmente o meno, alla ricerca del bene. E questo è un valore, forse il valore, che nessun legislatore può strappare.
Giovanni Gut