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20/01/2017
Evanescente pretattica sulla legge elettorale
Un adeguato tempo di governo appare necessario per il Paese, ma non gradito a Renzi che sa che non giocherebbe a suo favore.
L’affannoso e apparente riposizionarsi di Renzi  mostra, tuttavia, un residuo di arroganza in una  condizione di debolezza che caratterizza l’attuale fase politica dell’ex premier, dopo la clamorosa sconfitta al referendum del 5 dicembre. Nella recente intervista rilasciata a La Repubblica, il segretario del Pd, con qualche concessione all’autocritica,  ha ammesso unicamente  errori di comunicazione (“non essere riuscito a far capire quanto fosse importante per l’Italia questa riforma”), mentre  sul piano strategico ha mantenuto una linea sostanzialmente leaderista, difendendo  il ballottaggio che è poi il cuore dell’Italicum (“è il modo per evitare inciuci,  governissimi, larghe intese”) e insistendo  sul maggioritario (“con il proporzionale torniamo ad un sistema più simile alla democrazia cristiana”). Sui tempi delle elezioni, pur affermando di non avere fretta,  ha precisato  di non voler “replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità”, ritenendo cioè un errore da non ripetere quello  di Bersani che non volle andare alle urne dopo la caduta di Berlusconi,  alla fine del 2011, trascinando la legislatura fin quasi alla scadenza naturale del 2013. Anche la sua “portavoce” Maria Teresa Meli  rileva che la nuova segreteria alla quale sta lavorando ”sembra un assetto da campagna elettorale” e “le elezioni anticipate … anche se Renzi fa mostra di non scalpitare per averle, l’obiettivo resta sempre quello”. 
Renzi  quindi, nella sostanza, rimane ancorato alla sua strategia di sempre, continuando a ritenere necessario  accelerare i tempi delle elezioni, limitando il tragitto di Gentiloni e approvando una legge elettorale che non lo costringa a cercare alleanze che non sono nel suo  dna politico. E’ proprio questo il suo punto più debole,  in quanto , come ha rilevato De Bortoli, è  evidente che “Renzi non possa permettersi per la seconda volta di affossare un governo che è diretta espressione del suo partito, come già è avvenuto con Letta”, né, d’altro canto appare ancora attuale una prospettiva leaderista. Il risultato del referendum ha significato   il mantenimento della forma di governo parlamentare, sancito dalla Costituzione, ed ora la nuova  legge elettorale non potrà che uniformarsi a questo esito. Con esso si è prodotto anche un  crescente consenso intorno a Mattarella  - al quale anche Berlusconi riconosce “preparazione e autorevolezza, dignità e garbo istituzionale” -  segnando, oltre ad uno “spostamento oggettivo del baricentro del potere  dal governo al Quirinale”, come sostiene Massimo Franco, anche un cambio di stagione che Renzi non comprende. Per dirla tutta e, paradossalmente,  una nuova stagione di antico sapore democristiano.
Altri importanti fattori giocano a favore del prolungamento della legislatura. Il governo nell’anno che avrà di fronte non sarà un  andreottiano  “tirare a campare”, trovandosi davanti a molti problemi che l’attendismo di una campagna referendaria  di quasi sei mesi,  artificiosamente e inutilmente stirata da Renzi, ha aggravato: dalla situazione delle banche, all’esplosione dei problemi dell’immigrazione, dalla condizione di alcuni settori imprenditoriali – esempio Alitalia – agli interventi richiesti da Bruxelles per rientrare rispetto a sforamenti di spesa pubblica  sui quali Renzi aveva scommesso per i suoi obbiettivi politici. Un adeguato tempo di governo appare necessario per il Paese, ma non gradito a Renzi che sa che non giocherebbe a suo favore. 
Il passaggio politico che dovrà porre le basi per la prossima legislatura – forse la più difficile sul piano interno e internazionale – è la discussione e l’approvazione della nuova legge elettorale,  con la quale si andranno ad eleggere le istituzioni parlamentari in un quadro  internazionale che richiederà, a cominciare dai  prossimi mesi,  scelte fondate su una convergenza di consensi. Ma non potrà essere una legge , secondo una lettura minimalista ,che sia  espressione della sentenza della Consulta, alla sola condizione di  mostrare “coerenza tra  Camera e Senato”. 
 La caduta del leaderismo e del suo corollario maggioritario – per ragioni intrinseche e per la frammentazione tripolare -  apre la strada  ad un sistema proporzionale, rispetto al quale si sta iniziando a discutere se, al fine di favorire la governabilità, sia applicabile con una soglia di  accesso o con un premio di maggioranza. Quest’ultimo meccanismo non risolverebbe i rischi legati alla possibile affermazione di forze  politiche antisistema che farebbero precipitare una rotta politica che si presenta difficile, a cominciare dal quadro internazionale - per le tendenze protezionistiche di Trump e per l’uscita di Londra da tutte le istituzioni europee - e che, invece, richiede di essere governata per  adattare e rilanciare il disegno europeista e non scivolare nel nazionalismo e nella conseguente autarchia monetaria.
Nell’attesa della sentenza della Corte costituzionale e delle sue motivazioni, sarebbe auspicabile una  discussione sulla nuova legge elettorale, attenta alla esigenza della ricostruzione  della rappresentanza e del ritorno di una   logica politica inclusiva che,  spegnendo quelle asprezze che hanno portato al fallimento del lungo esperimento bipolare, favorisse il ritorno di scelte condivise. Assistiamo, invece, alla continuazione di una evanescente pretattica, volta prevalentemente a valutazioni di parte o  ad illusioni sul mantenimento di ruoli personali ormai segnati  dalle sconfitte. Come avvenuto per la campagna referendaria, potrebbe essere opportuno  il contributo  propositivo  da parte delle formazioni sociali più attente alle difficoltà politiche del Paese.
 
Pietro Giubilo

  
 
 
 

 




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