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19/01/2017
E' troppo presto
Giulio Andreotti e gli Stati Uniti

Il direttore del centro Studi Studi Americani, Paolo Messa, ha tenuto una “lectio magistralis” presso l’Istituto Luigi Sturzo sul tema: “Giulio Andreotti e gli Stati Uniti d’America”. Ha introdotto un Gianni Letta che, per una volta tanto, si è tolto l’abito di “colomba” per antonomasia, ed ha lanciato un vero e proprio schiaffo alle istituzioni per il loro silenzio su Giulio Andreotti. Letta ha poi affermato  che quando  «la polvere della cronaca lascerà lo spazio alla luce della storia, la figura del Presidente verrà esaltata». Il relatore ha svolto un ampio excursus su quelli che sono stati i rapporti tra Giulio Andreotti e gli USA. L’importanza di questi rapporti son ben dimostrati dal fatto che nell’archivio Andreotti, adesso depositato presso l’Istituto Luigi Sturzo, il fondo relativo ai rapporti con gli USA è il terzo per volume ed importanza, e viene subito dopo quelli relativi al  Vaticano e all’Europa.

Rapporti di lunga data che ebbero inizio da quando Andreotti era il giovane sottosegretario, ed il più stretto collaboratore, di Alcide De Gasperi. Da allora Giulio Andreotti ha tessuto, fino agli ultimi anni della sua vita, un rapporto continuo improntato ad alcuni punti cardine da cui non si è mai distaccato. Il primo è che la scelta atlantista dell’Italia, non era stata solo una scelta dettata dal bisogno, ma una scelta politica profonda fondata sulla convinzione che l’amicizia con gli USA fosse un punto di riferimento imprescindibile per la garanzia della libertà. Andreotti fece suo l’insegnamento di De Gasperi su come comportarsi con grande dignità anche nei momenti di grande bisogno della nostra nazione. La scelta di allora è stato un cardine di tutta la politica italiana del dopoguerra, ed i comportamenti dell’Italia sono sempre stati coerenti con questo principio, anche nei momenti, che pur ci sono stati, di grande tensione con l’America.

Il secondo pilastro a cui Giulio Andreotti si è attenuto, non poteva non essere, per un uomo come lui, quello della concretezza, nome da lui scelto, non per nulla, per la sua rivista. Questa concretezza lo portava ad affermare che nei rapporti con gli Stati Uniti, occorre stare in posizione di “riposo e non sugli attenti” Ed abbiamo potuto farlo perche, nella concretezza, siamo stati gli alleati più fidati degli USA. Mai l’Italia ha tenuto una posizione ambigua in quelli che erono i suoi doveri di alleata.

​La prima grande incomprensione che si verificò tra l’Italia e l’America,  ha riguardato l’apertura a sinistra della Democrazia Cristiana. Incomprensione generata dalla paura di un venire meno della politica  italiana nei suoi obblighi atlantici. Preoccuopazione ma smentita dai fatti. Mai la politica interna italiana ha compromesso la politica delle alleanze, ha, al contrario, guadagnato alla scelta atlantica, man mano, anche coloro che all’inizio erano contrari. Di questo diede merito allo statista italiano lo stesso Presidente Nixon allorché, dopo iniziali preoccupazioni, affermò che Giulio Andreotti “continua l’opera di De Gasperi”.

L’altra grande incomprensione fu quella della politica italiana di attenzione nei confronti del mondo arabo. Anche questa nostra posizione, per di più coerente con tutta la nostra tradizione diplomatica di sempre, era una posizione con cui le nostre relazioni sono sempre state messe a disposizione dei nostri alleati americani e che avrebbe, se utilizzate, evitato i grandi errori che gli Stati Uniti hanno commesso in quel quadrante del mondo.

Il punto più alto di questa incomprensione si ebbe, come ben noto, con la crisi di Sigonella. Andreotti ricordando quel momento ha raccontato del suo sconcerto, quando si avvide che dietro quell’affare c’erano “gli stesi pasticcioni dell’Irangate”, e spiegò che trattando dell’America occorre sempre tener presente che “una cosa è la Casa Bianca, una il dipartimento di stato ed un’altra ancora la CIA”. Affermò anche che di solito i leader politici americani sono sempre più saggi e moderati degli apparati. Per quanto riguarda la conclusione di Sigonella Andreotti disse che “Gli americani ci dovevano delle scuse, e c’è le hanno date”.  Ma se i leader politici americani si convinsero della giustezza della nostra posizione, non altrettanto fecero gli “apparati” il cui risentimento nei nostri confronti durò a lungo.

Paolo Messa conclude la sua “lectio magistralis” raccontando degli ultimi anni di vita del presidente Andreotti. Anni segnati dalla sua vicenda giudiziaria in cui fu accusato di collusione con la mafia. Messa ha affermato che a prima vista può apparire fuori luogo parlare di questa vicenda quando si esaminano i rapporti tra Andreotti e gli USA, ma soltanto a prima vista.

Andreotti, quando parlava di questa vicenda, partiva dalla caduta del muro di Berlino quando, come si legge negli atti della CIA desecretati, l’amministrazione Clinton si era convinta che fosse fisiologica la caduta della “prima repubblica” e venivano guardati con grande interesse  ai grandi cambiamenti che si stavano verificando in Italia. Erano gli anni di mani pulite, gli anni in cui il  console americano Peter Semler incontrava regolarmente esponenti della lega e del PCI oltre ai giudici di mani pulite.

Peter Semler, incontrò  il pm di Milano Antonio Di Pietro nel novembre 1991 e in quell’occasione il magistrato gli preannunciò gli arresti di Mani Pulite e gli disse anche che le indagini avrebbero raggiunto Bettino Craxi e la Dc. “Di Pietro mi piacque molto – afferma Semler –  poi fece il viaggio negli Stati Uniti organizzato dal Dipartimento di Stato. Gli fecero vedere molta gente a Washington e a New York. Ero spesso in contatto con lui. Ci vedevamo. Ero in favore di ciò che Di Pietro faceva. Di Pietro con me era sempre aperto, ogni volta che chiedevo di vederlo lui accettava, veniva anche al Consolato”. Andreotti sibillino parlava anche della villa del pentito Mannoia negli USA,e, con il suo proverbiale sarcasmo, diceva che non l’ aveva di certo avuta in eredità dalla nonna. Ma quando si provava a chiedergli qualcosa di più su questo argomento Giulio Andreotti rispondeva sempre: “E’ ancora troppo presto”.


Giancarlo Moretti




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