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18/01/2017
La morte degli Enti Locali ad opera dello Stato
senza le autonomie locali rischiamo di avere amministrati ma non cittadini

Cosa rappresentano davvero gli Enti Locali e qual è la loro storia? Le Province affondano le proprie origini negli anni immediatamente precedenti all’Unità d’Italia. Infatti, la loro istituzione risale al Regno Sabaudo quando correva l’anno 1859. I Comuni, così chiamati perché garantivano una gestione comune della cosa pubblica esigendo la partecipazione dei cittadini, nacquero nel Medioevo.

La nascita del Comuni è strettamente legata al sorgere di una economia commerciale. Essa era fondata sugli scambi commerciali, sul denaro e sul lavoro, ed era gestita da una nuova classe di persone intraprendenti, che intrecciavano relazioni commerciali con genti e paesi anche lontani nei mercati e nelle fiere annuali.

I Comuni erano dunque nati come fieri difensori della propria libertà.

Più recentemente, Rattazzi propose il nuovo ordinamento amministrativo con i Comuni e le Province.

Nel 1947, con il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica, i Padri costituenti le confermarono nella Carta Costituzionale, quindi nel 1970 il Parlamento decise di istituire le Regioni.

L’art. 114 della Costituzione riformata nel 2001 recita così: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.”

L’ordinamento giuridico italiano, infatti, delega agli “Enti Locali” autonomia statutaria, normativa, organizzativa, impositiva e finanziaria.

Nel merito vi dico, da amministratore locale, che i cittadini si sentono attivi proprio nei Comuni, essi aderiscono alla gestione della cosa pubblica nelle istituzioni decentrate, infatti, il Comune garantisce rappresentanza, ed essa è il mezzo universale di cui gli uomini possono servirsi per raggiungere i diversi scopi che si propongono.

La partecipazione dei cittadini rappresenta anche il miglior mezzo per opporsi ai tre nemici di una società democratica: lo Stato accentratore, la “tirannide della maggioranza”, e soprattutto, l’individualismo.

Le autonomie locali rappresentano non solamente un fattore di coesione, ma rappresentano anche una barriera contro il primo nemico: l’invadenza dello stato.
Comune, provincia, regione hanno tutti la loro importanza nell’equilibrio del sistema. Ma è il Comune, associazione naturale, che istituisce il paradigma della partecipazione.

Alexis de Tocqueville recita così sui Comuni: “l’abitante del Comune ci si affeziona poiché esso è forte e indipendente; vi si interessa perché concorre a dirigerlo; lo ama perché non ha da lagnarsi della sua sorte; mette in esso la sua ambizione e il suo avvenire; si mescola ad ogni piccolo incidente della vita comunale; in questa sfera ristretta che è in suo potere, egli si esercita al governo della società; si abitua a quelle forme senza le quali la libertà procede solo con rivoluzioni: si compenetra del suo spirito, prende gusto all’ordine, comprende l’armonia dei poteri, e raccoglie infine idee chiare e pratiche sulla natura dei suoi doveri e sull’estensione dei suoi diritti.”

Invece gran parte dei governi, ed in maniera più subdola Matteo Renzi giocando sul suo appellativo “sono il sindaco d’Italia”, stava tradendo, le autonomie locali.

Egli è stato il più diabolico perseguitore dei Comuni. I provvedimenti normativi del suo governo hanno fortemente deteriorato l’autonomia dei Comuni e limitato la capacità di erogare servizi alle comunità. In qualche caso una parte considerevole della copertura finanziaria dei famosi 80 euro fu garantita proprio in virtù dei tagli ai bilanci comunali. Dopo l’esplodere della grande crisi, negli ultimi cinque anni  i Comuni hanno contribuito molto più di altri, con sedici miliardi al risanamento dei conti dello Stato. Rispetto a questo trend Renzi non solo non lo ha corretto, ma lo ha aggravato molto di più.

Renzi ha parlato spesso del superamento del patto di stabilità…
È una bufala che sventola come grande risultato. La realtà dice un’altra cosa: gli investimenti comunali nei primi sei mesi del 2016 sono diminuiti del 52%. Il crollo è dovuto alla riforma degli appalti.

Questo è uno degli esempi di come le riforme di Renzi venivano sbandierate come testimonianza della capacità di cambiare, ma in realtà hanno mostrato spesso imperfezioni e gravi superficialità. Non basta cambiare, ma bisogna cambiare in meglio.

Io credo che per migliorare la qualità del nostro sistema politico bisogna rafforzare il decentramento per consentire un miglior coinvolgimento diretto da parte dei cittadini nelle questioni di interesse generale. Tutto ciò si può attuare attraverso la partecipazione, essa non riguarda soltanto la partecipazione ai processi politici, ma a qualunque ambito della vita pubblica. Si i cittadini lo stanno gridando a gran voce, voglio partecipare, interessarsi, capire e decidere le sorti del proprio Paese, ma questo può essere fatto dando agli Enti Locali l’autonomia che gli compete, si proprio quella autonomia che ha garantito la nascita delle democrazie dell’occidente.

Senza le autonomie locali rischiamo di avere amministrati ma non cittadini.


Luca Cappelli

 




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