PRIMO PIANO
25/10/2016
C'è chi dice no
Se tutti sono d'accordo sul fatto che la Costituzione può – e deve – subire 'un tagliando' ed essere aggiornata alle attuali esigenze, sul come farlo non si è ancora 'trovata la quadra'.
 
Cosa voglia il governo con il suo appello a votare Sì al prossimo referendum è noto. Quanto invece al fronte del No, i motivi per opporsi alla modifica costituzionale e quindi per bocciare il quesito referendario sono i più disparati. Uno, però, sembra il principale: modificare ben 47 articoli tutti insieme è, in realtà, una manovra più spericolata che riformatrice. Perché se tutti sono d'accordo sul fatto che la Costituzione può – e deve – subire "un tagliando" ed essere aggiornata alle attuali esigenze, sul come farlo non si è ancora "trovata la quadra". Sul sito del Movimento 5 stelle, alla sezione "Io voto no", i grillini spiegano la loro opposizione alla modifica della Costituzione: in particolare, i penta stellati affermano che con il sì si toglierebbe "il diritto di voto agli elettori", mentre sarebbero "le segreterie dei partiti a nominare chi va nelle stanze del potere". Inoltre, i nuovi senatori non verranno più eletti dai cittadini e nel nuovo Senato si verificherà un fatto anomalo per le democrazie: il Capo dello Stato, con i 5 senatori a vita, si troverà a nominare il 5 per cento dei membri di una Camera di rappresentanti dei cittadini. Insomma, per i 5 Stelle la riforma è confusionaria e pasticciata, proprio perché complica il procedimento legislativo. Il riferimento è all'articolo 70, ora composto da nove parole, che lievitano a oltre 400 nella Renzi – Boschi. Fermo restando che, con il nuovo impianto, non si ridurrebbero i costi della politica e si profilerebbe addirittura un pericolo autoritario, tanto più che il Parlamento che ha messo a punto la revisione costituzionale è stato eletto, aggiungono i pentastellati, in maniera illegittima. Il fronte del No ha incassato, negli ultimi giorni, anche il sostegno dell'ex premier Mario Monti che, ragionando dal punto di vista dell'economia, ascrive alla vittoria del Sì «una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile – molto più dei limiti della costituzione attuale – dei mali più gravi dell'Italia : evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico». Il risultato sarebbe dunque quello di «una parziale modifica della costituzione, conseguita in un modo così costoso per il bilancio pubblico».
Il comitato del No ricorda che la nuova Costituzione partorito da una vittoria del Sì creerebbe conflitti di competenza tra Stato e Regioni e tra Camera e nuovo Senato, rafforzerebbe il potere centrale a danno delle autonomie che, per di più, verrebbero private di mezzi finanziari, e non servirebbe né alla semplificazione, né tanto meno alla riduzione dei costi della politica. Addirittura Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta, ha elencato 15 buoni motivi per votare No: «Noi pensiamo», spiega in particolare, «che occorra "governo", non governabilità, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza, la democrazia degenera in linguaggio demagogico, rassicurazioni vuote, altra faccia della rassegnazione, e dell'abulia: materia passiva, irresponsabile e facile alla manipolazione. Questa è la governabilità. A chi dice "governabilità" noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico». Silvio Berlusconi, e con lui tutta Forza Italia, lamenta che si tratta di una riforma che «non cambia nulla in termini di efficienza e di risparmi, ma è pericolosa perché riduce gli spazi di democrazia a tutto vantaggio di un solo partito e di una sola persona», mentre per Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, «la riforma, assolutamente pasticciata, avrebbe invece dovuto andare oltre, magari anche toccando la prima parte della Costituzione su punti cruciali come la possibilità di prevedere un tetto alla tassazione, o di votare sui trattati internazionali che limitano la nostra sovranità». Dello stesso avviso anche la Lega: il leader Matteo Salvini invita a votare No per tre motivi: «perché il Senato non viene abolito ma rimane come casta di nominati, consiglieri regionali e sindaci che fanno i senatori nel tempo libero; perché i parlamentari potranno continuare a cambiare partito senza mollare la poltrona; perché gli italiani dovranno inchinarsi alle follie dell'Unione europea senza mai potersi esprimere nel merito con un referendum». Ma, al di là della politica, anche la società civile si schiera per il No: un documento - elaborato da Enzo Cheli e Valerio Onida e firmato da una cinquantina di costituzionalisti - ha espresso «alcune valutazioni critiche sulla riforma costituzionale». Gli studiosi, pur valutando positivamente il tentativo di superare il bicameralismo perfetto, rilevano che la riforma Renzi-Boschi crea, nei fatti, «un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo». Un timore espresso anche dal Movimento cristiano lavoratori che, per bocca del presidente Carlo Costalli, fa notare che «il Senato, anziché essere espressione della volontà popolare, rappresenterà quella dei vertici politico-istituzionali delle Regioni. Così il peso della volontà popolare sarà ridotto e indebolito, considerando anche che la riforma triplicherà da 50mila a 150mila le firme necessarie per i disegni di legge di iniziativa popolare».
 
Stefano Giordano



Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet