In cento giorni: trecento delibere e zero sostanza. In estrema sintesi questo il bilancio che si può trarre, superata la prima soglia simbolica, delloperato di Chiara Appendino alla guida di Torino. Non cè traccia della promessa palingenetica discontinuità, di cui vagheggiavano anche tanti capataz del surreale centrodestra cittadino invitando al voto per lesponente pentastellata al ballottaggio contro Piero Fassino. Secondo i suoi sostenitori, originali o di risulta, la prima cittadina avrebbe dovuto abbattere, a colpi di trasparenza e partecipazione, il Sistema Torino. Tutto lascia supporre che quella rete di rapporti e interessi, inquadrati in precise coordinate ideologiche, si trovi assolutamente a proprio agio nella decrescita assai poco felice cui il volto antisistema del Sistema rischia di condannare la Città. Tuttaltro che lalternativa (è) Chiara che dai manifesti della campagna elettorale dichiarava di voler essere.
Attende, attenta a non dispiacere troppo i poteri della Città (famiglia Agnelli in testa). Si lascia condurre dal suo predecessore Sergio Chiamparino, oggi presidente di centro-sinistra della Regione Piemonte, sui binari di una concordia istituzionale che ha fatto dire al caustico quotidiano on-line Lo Spiffero che ci troviamo ormai di fronte a Chiappendino. Un sabaudo ircocervo per nulla in contrapposizione ai desiderata dei soliti salotti buoni della Città. Sotto la regia di Chiamparino è stato anche il pranzo del 6 ottobre scorso, presso il grattacielo di Intesa Sanpaolo e con il contorno della solita Torino che conta, con il premier Matteo Renzi. La normalizzazione è in corso, i poteri forti hanno poco da temere e anche legemonia della solita cultura azionista, giusto con qualche grande evento in meno, gode di buona salute (non proprio una buona cosa per le sorti del pluralismo in Città).
Per dirla con il senatore Pd Stefano Esposito, che una certa dimensione popolana non lha smarrita: A Torino hanno votato una rivoluzionaria e si sono trovati sindaca una democristiana in gonnella. Chiara Appendino ha fatto la campagna elettorale contro il Sistema Torino e adesso ce lha appiccicato con la colla e non fa nulla per staccarselo, anzi. Ogni tanto si mette la kefiah in testa, magari per dare lo sfratto a Foietta, ma la realtà è quella lì. Recentemente, nella stessa linea di giudizio, lHuffpost ha rilevato che Nei primi mesi a 5 stelle ci sono così i No che si scontrano con la realtà e i No che, nel silenzio generale, diventano dei quasi Sì. Su due temi tanto cari al Movimento, acqua pubblica e infrastrutture, il cambio verso è nei fatti.
Cè chi ravvisa in questo volto doroteo del grillismo un positivo possibile modello di evoluzione di una forza nata populista; unanalisi meno compiacente non può riconoscere che è semplicemente la dimostrazione dellincapacità di governo (magari con esisti meno grotteschi che a Roma o Livorno). Cè anche la conferma che il Movimento 5 Stelle è totalmente prono alla cultura mainstream su tutte le questioni più decisive (pensiamo alla biopolitica).
Tra proroghe e revoche, in questo consistono larga parte delle delibere, la conferma che Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. A Torino, insomma, è tempo di Grillopardi. Sfumata anche la conquista della maggioranza alla recente elezione per il Consiglio metropolitano, cè da supporre che la restaurazione troverà nuovi fronti su cui implementarsi.
Marco Margrita