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19/10/2016
Dal rapporto dell’Inps si evidenzia un aumento della vendita dei voucher
una nuova modalità di gestire i rapporti di lavoro che sembra aver smarrito la ragione per cui era stato introdotta

Da un recente documento di monitoraggio dell’Inps, pubblicato nei giorni scorsi, emerge che, complessivamente, dall’agosto 2008 (inizio della sperimentazione sull’utilizzo del lavoro accessorio per le vendemmie di breve durata) al 30 giugno 2016 risultano venduti 347,2 milioni di “buoni lavoro” (importo di ogni voucher pari a 10 euro).

Lo stesso rapporto evidenzia come assieme alla progressiva estensione degli ambiti, oggettivi e soggettivi, di utilizzo del lavoro accessorio (inserito per la prima volta nel nostro ordinamento con la “Legge Biagi”) si sia manifestato, di pari passo, un aumento della vendita dei voucher che hanno registrato un tasso di crescita del 66% dall’anno 2014 all’anno 2015, e del 40% tra i primi sei mesi del 2015 e lo stesso periodo di quest’anno.

Dalla sperimentazione per le vendemmie del 2008 il sistema dei buoni lavoro inoltre, è utile sottolineare, si è progressivamente potenziato sotto diversi profili, tra cui quello relativo alla rete di distribuzione dei voucher, inizialmente acquistabili solo presso le sedi INPS ovvero tramite la procedura telematica, e successivamente disponibili, grazie ad apposite convenzioni, presso i tabaccai, le Banche Popolari e, più recentemente, presso tutti gli uffici postali. Ad oggi, ad esempio, l’acquisto dei voucher presso i tabaccai è di gran lunga la modalità prevalente. L’Inps si dice, quindi, che la tipologia di attività per la quale è stato complessivamente acquistato il maggior numero di voucher è il commercio: rappresenta, infatti, il 16,8% del totale.

La regione, inoltre, nella quale si è avuto il maggiore ricorso ai voucher è la Lombardia, con 60,7 milioni di buoni lavoro venduti. Seguono il Veneto, e l’Emilia  Romagna.

In questo quadro si deve sottolineare, tuttavia, che se il numero di lavoratori (circa l’8% extracomunitari) è cresciuto costantemente negli anni, il numero medio di voucher riscossi dal singolo lavoratore, invece, è rimasto sostanzialmente invariato: circa 60 voucher l’anno dopo il 2012.

Se si considera, quindi, che l’importo netto che il lavoratore riscuote per ogni voucher è di 7,50 euro, si ricava, facilmente, che il compenso annuale medio netto negli anni più recenti non è mai arrivato a 500 euro.

Nel contesto così delineato è intervenuto, con decreto delegato pubblicato solo pochi giorni fa in gazzetta ufficiale, il Governo apportando alcune, anche rilevanti, modifiche al #jobsact volte a garantire la piena tracciabilità, sulla falsariga di quanto già accaduto per il “lavoro a chiamata”, dei voucher.

I committenti imprenditori non agricoli (e con alcuni aggiustamenti anche quelli agricoli), o professionisti che ricorreranno a prestazioni di lavoro accessorio saranno così tenuti, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione.
Sarà, nei prossimi mesi, interessante capire se si assisterà, come già accaduto per il lavoro intermittente, ad un repertino crollo del ricorso a questo, almeno nel contesto italiano, innovativo e, relativamente, moderno strumento. Una nuova modalità di gestire i rapporti di lavoro che, comunque, a prescindere dai dati che registreremo nei prossimi mesi, sembra aver smarrito, anche a causa di una normativa complessivamente rigida come quella introdotta dal Governo Renzi, la ragione per cui, nel 2003, era stato introdotta nel nostro ordinamento.

Giancamillo Palmerini




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