PRIMO PIANO
25/07/2016
Legge elettorale e riforma costituzionale
E’ la legge elettorale, che è una legge applicativa, seppure di rilevanza costituzionale, che deve essere inserita nel contesto del disegno Costituzionale non viceversa

Uno degli aspetti più controversi ed inquietanti della riforma costituzionale Renzi/Boschi è il suo strettissimo, si potrebbe dire addirittura, “incestuoso”, rapporto con l’Italicum. Il singolare collegamento che il governo ha voluto, fortemente e maldestramente, creare tra legge elettorale e riforme costituzionali va, infatti, a determinare un intreccio di competenze e di poteri che, inevitabilmente, comporterà un ulteriore impoverimento del tasso di democrazia effettiva, cioè autenticamente partecipata, nelle nostre, già fin troppo, impoverite istituzioni. I problemi aperti dal “combinato disposto” tra Italicum e Riforma della Costituzione sono, infatti, parecchi ed alcuni di particolare rilievo. La prima questione riguarda la strategia, i tempi e le modalità che il governo ha voluto imporre all’itinerario complessivo di queste riforme istituzionali: cioè la scelta anomala di approvare a tutti i costi la nuova legge elettorale prima della legge di riforma costituzionale. Fatto che costituisce un vero e proprio vulnus democratico, oltre che un insulto alla logica più elementare. Con questa prematura approvazione, si finisce, di fatto, con il subordinare la riforma costituzionale alle scelte già acquisite e definite con la legge elettorale. Esattamente il contrario di quanto, procedendo correttamente, si sarebbe dovuto fare. In questo modo, paradossalmente, è la riforma costituzionale che si trova a dover essere “tagliata e cucita su misura” in funzione della riforma elettorale già approvata, una situazione in netta contraddizione con qualsivoglia deontologia costituzionale e/o istituzionale. Perché è la legge elettorale, che è una legge applicativa, seppure di rilevanza costituzionale, che deve essere inserita nel contesto del disegno Costituzionale non viceversa. La riforma della Costituzione non può essere condizionata dal “fatto compiuto” di una legge elettorale, approvata “a prescindere”, ed a colpi di voti di fiducia: senza, peraltro, tutte le garanzie procedurali richieste per intervenire sulla Costituzione stessa visto che stiamo, comunque, parlando di una “legge ordinaria”.

Non si tratta di un problema formale di “gerarchia delle leggi”, che in questa sede ci interessa fino ad un certo punto; si tratta, piuttosto, di un problema di vera e propria “deontologia istituzionale e democratica” cioè di un problema eminentemente politico dove c’è molta sostanza. A questo riguardo è interessante notare come questa profonda contraddizione venga rilevata e sottolineata, con tutte le sue gravi implicazioni istituzionali, proprio da uno dei più importanti padri fondatori dell’Ulivo (seppur tra i meno conosciuti al grande pubblico): Giovanni Bazoli. Bazoli, infatti, in un’intervista a tutta pagina al “suo Corsera” -  e scrivo “suo”, a ragion veduta, visto che BancaIntesa, la “sua” creatura bancaria, è tra i più importanti azionisti di RCS -  pur dichiarando il proprio voto per il sì, per “responsabilità istituzionale”, fa proprie stranamente molte delle tante ragioni che indurrebbero chiunque a votare no e focalizza l’attenzione proprio sul pericoloso collegamento tra legge elettorale e riforma costituzionale. Bazoli, non solo definisce l’Italicum squilibrato, in quanto “non c’è equilibrio tra le esigenze di governabilità e rappresentatività” dacché “attribuisce il 54% dei seggi  al partito che raggiunge il 40% dei voti: un premio sproporzionato che sacrifica la rappresentatività a favore della governabilità oltre ogni limite ragionevole” ma ,soprattutto, denuncia con forza il “black out“istituzionale nel quale il collegamento “renziano” tra referendum e legge elettorale potrebbe far piombare il Paese. Questo è il ragionamento del vecchio banchiere: “Se approvata, la riforma costituzionale del Senato avrà l’effetto di rendere praticabile la nuova legge elettorale. Una legge che oggi risulta inapplicabile, perché si voterebbe al Senato con il proporzionale puro e alla Camera con un sistema tendenzialmente maggioritario: una cosa assurda. Nessuno ha osservato che proprio per questa ragione, in caso di bocciatura del referendum, il Paese si troverebbe in una situazione veramente drammatica di impasse costituzionale: il presidente della Repubblica non avrebbe di fatto la possibilità di indire nuove elezioni, finché non fossero riformati i sistemi elettorali di entrambe le Camere”.

Ragionamento ineccepibile. Al quale, tuttavia, bisogna aggiungere un “piccolo corollario” sulla responsabilità politica di chi ha pervicacemente voluto ed operato per gettare il Paese in questa situazione cioè il governo Renzi. È, infatti, assai difficile pensare che questo possa essere avvenuto solo per inesperienza, pressappochismo o, anche, irresponsabilità ed arroganza. Si legge agevolmente, appena sotto traccia, il chiaro disegno di voler mettere di fronte al fatto compiuto istituzioni ed elettorato; di voler predisporre un’“arma letale” per il referendum pensando di mettere l’opinione pubblica (magari con il supporto di Confindustria!) di fronte all’alternativa secca tra il digerire, comunque, la “riforma Renzi/Boschi ed il “caos istituzionale”.  In questo senso si parlava, all’inizio, di grave “vulnus democratico”. Altro che “80 euro” e “mance elettorali”! qui siamo di fronte ad una forzatura di gran lunga maggiore, e più pericolosa perché istituzionale, che va denunciata e respinta con forza. Sempre nell’Italicum vi è poi, almeno, un altro argomento cui vale la pena accennare già in questa sede, in quanto evidenzia, ulteriori aspetti opachi ed insidiosi celati nel collegamento tra legge elettorale e riforma costituzionale. Durante questi ultimi mesi il premier - che, come è noto, si è impegnato moltissimo nella precampagna referendaria, in quanto considera il confronto/scontro sul referendum, tanto per citare una famosa quanto sfortunata frase di Saddam Hussein, “la madre di tutte le battaglie” - ha più volte dichiarato che la Riforma Costituzionale non conferisce al presidente del Consiglio nemmeno una briciola di potere in più. In realtà le cose non stanno così. Anche se quello che ha dichiarato sulla riforma costituzionale è “tecnicamente vero” non è, però, vero nella realtà delle cose. Il “topo”, infatti, non si nasconde nella Riforma Costituzionale, ma nella ben più gestibile, perché “ordinaria”, legge elettorale: il famigerato Italicum. È infatti proprio con l’art. 2 dell’Italicum che si realizza, e di soppiatto! la trasformazione, di fatto, del sistema di governo da parlamentare in presidenziale o meglio si potrebbe dire, con un neologismo, “premierale”. Tutto ciò aggirando la Costituzione (art. 92 comma 8) ed inserendo, in una legge ordinaria, l’indicazione elettiva del candidato premier: un radicale spostamento del baricentro del potere a favore del Governo, conseguito per vie traverse e senza assumersene la responsabilità politica.

Pier Paolo Saleri

 




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet