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27/06/2016
Brexit, pericoloso lÂ’effetto domino
Il progetto di unificazione europea e di integrazione ci chiede di uscire dalle incertezze.

Al di la' dei tanti commenti - e spesso alcuni davvero sconcertanti - bisogna dire che in democrazia la voce degli elettori e', alla fine, ciò che conta  ed alla fine  la maggioranza degli abitanti del Regno Unito ha deciso di uscire dall' Unione Europea. Oggi  e' solo una sciocca retorica  che si pronuncia  sull’opportunità del referendum e dichiara che xenofobia e razzismo vincono. Ci si dimentica così della storia e la storia e' sempre molto importante. Anche se nel ragionare sul risultato non possiamo certo trascurare la tendenza xenofoba ed il peso di cattive informazioni su altri problemi - come ad esempio sull' immigrazione - la Gran Bretagna dal primo giorno non ha mai fatto della sua partecipazione alla vita dell'UE una condivisione degli ideali e dei valori che stanno alla base sella nostra storia di unificazione. Da sempre Londra ha guardato a Bruxelles solo con l'interesse per gli affari legati  alla finanza - e non a caso il Commissario dimissionario Jonathan Hill deteneva fino e ieri le deleghe per gli affari finanziari nella Commissione Juncker - e da sempre il governo di Sua Maestà  ha condizionato le scelte  più importanti degli ultimi tempi: dai trattati di Amsterdam e Lisbona, al progetto di costituzione Europa, all'Euro. Le grandi sfide dell'UE, nella stagione della globalizzazione, si sono accentuate ed oggi coinvolgono tutti i cittadini di tutti gli stati: le politiche del lavoro, le politiche per i giovani, la coesione sociale vivono un GAP che ha reso il ceto medio sempre più precario ed impoverito. La sicurezza dei cittadini europei viene meno anche per le modalità  sempre più incerte ed inefficaci con cui si cerca di risolvere la crisi economica più forte della seconda guerra mondiale.

Oggi, ovunque in UE, i cittadini avvertono come un apparato burocratico - che vive in una torre d’avorio -  abbia il vero potere decisionale a Bruxelles e come questo sia esercitato sempre più a spese del popolo e contro il popolo. Anche se la Gran Bretagna non e' certamente la Grecia, bisogna evidenziare come il Regno non sia solo Londra e come nelle periferie dell'"impero che fu"  una generazione di vecchi ha decretato sul futuro dei giovani con una scelta che appare dettata più dalla pancia che dalla ragione  e che ritrova nelle ragioni della storia il fulcro di un orgoglio che evidenzia come si debba ancora lavorare molto per far comprendere  come le ragioni del bene comune siano la piattaforma cui si deve tendere. La storia del Paese ed il suo ruolo nella seconda guerra mondiale, e nel dopoguerra, ha determinato il permanere di una cultura che non e' riuscita - o non ha voluto - trovare in Bruxelles quel ponte necessario per renderla compartecipe di scelte coraggiose: il silenzio del Trono questa volta ha fallito (o forse ha guidato)  l'appuntamento con una storia diversa. L'UE deve ora interrogarsi a fondo sul suo destino. Il primo atto necessario e' legato ad una rapida uscita dalle istituzioni della Gran Bretagna, non e' pensabile l'esercizio della Presidenza di turno nel prossimo anno. Nel contempo bisogna azionare una nuova Europa, bisogna che i sei Paesi fondatori sappiano riparlare all'anima del continente e sarebbe giunto il momento in cui una nuova costituzione europea venisse approvata: nuova proprio nei punto dove e' fallita l'esperienza precedente.

Brexit non vuol dire oggi più potere alla Germania, Brexit  non deve innescare un effetto domino. Il progetto di unificazione europea e di integrazione ci chiede di uscire dalle incertezze. Deve essere subito interrotto il potere di una burocrazia sorda alle invocazioni dei popoli (e non e' qui fuori luogo pensare al professor Monti come uno degli artefici di queste politiche, a Bruxelles come a Roma): Catalani e scozzesi  ed altri  nel richiedere con forza diverse modifiche regionali non avevano sbagliato di molto. La leadership  europea - che non c'è più da oltre dieci anni -  deve andare al di là della sua ritualità. Gli appelli all'Europa per una Europa "che ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere" (Papa Francesco, discorso al parlamento europeo, 2014) e già reiterati da San Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, sono sempre stati applauditi ma non ascoltati. Il MCL fedele al suo impegno europeista conferma oggi la sua convinzione per un impegno che affronti con urgenza il problema dell'identità. Il "monito" che l'UE ha ricevuto non può  che imporci "una revisione dell'impostazione dal punto di vista economico e soprattutto culturale" (Cardinale Bagnasco). Oggi c'è bisogno di più Europa e di riscoprire i valori che la ispirano.

Pier Giorgio Sciacqua

vice Presidente Nazionale MCL

 

 




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