Il tentativo di leggere solo come “municipale” l’esito del ballottaggio del 19 giugno, svela non solo la volontà del Governo di non trarre conclusioni politiche da un risultato negativo per il partito del premier, ma tenta di nascondere un rischio ulteriore di carattere sistemico che il voto ha indicato come possibile e che va ben oltre lo stesso appuntamento referendario. E’ vero che la partita dell’inizio di ottobre sarà diversa da quella che si è giocata a giugno, tuttavia si è avuto, nei ballottaggi, la dimostrazione che il voto di opposizione dei cittadini, pur se di diversa tendenza politica , può coagularsi in una alternativa alla proposta politica che scaturisca dal potere governativo. La carta giocata da Renzi di intestarsi le riforme e, poi, solo parzialmente ritirata - ma che è confermata da tutto il loro iter parlamentare – ha prodotto una sovrapposizione, un collegamento stretto, tra il premier e la riforma costituzionale. Quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un punto di affermazione e di forza, si sta rivelando come una strategia azzardata e assai rischiosa. Il coinvolgimento elettorale del premier che tempo addietro sembrava un sostegno, si è oggi dimostrato un impedimento del consenso e non è detto che, per il referendum confermativo non sia la stessa cosa. Sembra che perfino lo spesso Renzi ne stia prendendo atto. Tuttavia, anche se il referendum dovesse risolversi in una vittoria di misura del Si, il pernicioso combinato disposto tra la nuova Carta e il sistema elettorale a doppio turno, aprirebbero comunque gli spazi a quell’addensamento del voto delle opposizioni che, nel caso dovesse essere il M5 Stelle a partecipare al secondo turno, lo premierebbe, consegnandogli una maggioranza parlamentare del 55 per cento, come tutti i sondaggi oggi confermano.
Prospettiva resa possibile dal permanere della crisi economica e sociale del Paese dalla quale il governo appare incapace di favorirne l’uscita, nonostante l’astuto ma inefficace utilizzo di bonus e mance elettorali. Nella non lontana scadenza del suffragio politico, si potrebbe realizzare la vittoria per via elettorale di un movimento sostanzialmente antisistema. In tal modo le riforme costituzionali e la legge elettorale, costruite per consolidare il sistema politico, lo esporrebbero invece ad una destabilizzazione, resa più efficace e determinata da un potere governativo privo di quei contrappesi che le riforme approvate rendono meno efficaci. Questo rischio - meglio dire azzardo - è il prodotto di una concezione politica autoreferenziale, pervicacemente sostenuta da Renzi, che ha messo in piedi un sistema elettorale che, di fatto, punta alla autosufficienza elettorale di una formazione politica che raccoglie un consenso minoritario e che riesce a diventare maggioranza, non attraverso una linea di accordi e di mediazioni, ma per mezzo di un meccanismo elettorale che potrebbe essere definito “truffaldino”. Siamo di fronte ad una mutazione costituzionale che limita e distorce il sistema parlamentare e che ha come fondamento una rappresentanza maggioritaria espressione di una minoranza elettorale. Fino alla permanenza del bipolarismo, la correzione in senso maggioritario della rappresentanza rispetto al voto non era del tutto stravolgente, verificandosi una competizioni tra due grandi coalizioni politiche, ma ora, con la mutazione della polarizzazione del consenso elettorale, il sistema rischia di scivolare su di un piano inclinato, portandoci ad una incomponibilità sistemica.
Il tripolarismo italiano, consolidato dall’ esito delle elezioni comunali, appare come una anomalia non solo in quanto tale, ma per una sua specificità rispetto ai paesi nei quali si è registrata l’emergere di una terza forza. In Francia e in Austria una compatibilità politica tra centrodestra e sinistra ha impedito la vittoria di una forza maggioritaria antisistema; analogamente, in Germania, il ruolo determinante delle forze politiche parlamentari ha potuto dar vita ad una “grande coalizione” che tiene lontano e disinnesca lo sviluppo di partiti populisti. In Italia, come si è visto, non ci sono le condizioni per connettere in un progetto politico i due poli di centro-destra e di centro-sinistra in base ad un “interesse generale” e, tuttavia, invece di tentare una razionalizzazione del sistema politico in questa direzione o di svilupparne la reciproca legittimazione, ci si è diretti verso un maggioritario a partito prevalente, anche se elettoralmente minoritario, che insedierebbe un “uomo solo al comando”, con una “sua” compagine parlamentare. Occorrerebbe ricostruire quella capacità di una visione politica non esclusivista, aperta al confronto ed all’accordo, che veda nella rappresentanza non l’insediamento di una minoranza trasformata in maggioranza, ma l’espressione politica di una realtà complessa di corpi intermedi e di aree territoriali, di interessi, culture, bisogni a cui dar voce e peso istituzionale. La politica in questo senso non può essere decisione e comando, ma convincimento e recupero della partecipazione dei cittadini.
Pietro Giubilo