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23/06/2016
A Torino vince il “partito dell’altra Nazione”
Appendino guiderà per i prossimi cinque anni una Città in cerca dell’identità perduta
Nella Torino ripiegata nel suo essersi ormai fatta Sistema, Piero Fassino viene sconfitto dal “Tutto Tranne Renzi”. L’ex-capitale di molte cose, dal Regno all’auto fino a quella dell’illusione di una nuova economia tutta servizi e turismo, per effetto della convergenza di gran parte degli elettori degli sconfitti al primo turno sulla “grillina moderata” Chiara Appendino, si consegna a un Movimento Cinque Stelle che si dimostra, anche sotto la Mole, “partito dell’altra Nazione”. Una forza capace di accogliere, in un voto di protesta che qualcuno si spinge a definire “di liberazione”, consensi dalle provenienze più diverse: dalle sinistre d’opposizione (con qualche spruzzata di centri sociali) fino a gran parte dei centrodestra bonsai e conflittuali. In un Piemonte che è una vera e propria Caporetto per il Pd (persi tutti i ballottaggi in cui concorreva), Torino abbandona il centro-sinistra dopo quasi un quarto di secolo di governo ininterrotto e si consegna al Movimento Cinque Stelle. Un voto reattivo, sicuramente. Figlio del desiderio indistinto di cambiamento (si attaglia pienamente al caso l’analisi di Matteo Renzi sul voto) e dell’assenza di un vero competitore di centrodestra. Nemmeno in una città celebre per l’understandment, se non in minima parte, si è riusciti a vedere in campo un elettorato di centrodestra pronto ad optare per un voto da “patriottismo repubblicano” per la politica contro l’antipolitica. Una bocciatura, prima che per un Fassino di cui è difficile parlar male, per l’inconsistenza di un fronte moderato che viene ormai valutato inservibile anche come “minoranza creativa” dai propri potenziali sostenitori. Proprio perché l’understandment è pur sempre un tratto ineliminabile, i pentastellati hanno scelto una candidata che si sarebbe potuto vedere più alla “marcia dei quarantamila” che alle occupazioni davanti a Mirafiori. Una figlia di quella borghesia colta cittadina e non troppo diversa, per storia e milieu, da tanti protagonisti del tanto osteggiato (a parole) Sistema Torino. Non è un caso che le sia giunta subito la sostanziale benedizione degli Elkann e che la neosindaca, festeggiata con lo sventolio di bandiere No Tav, abbia prontamente assunto una posizione attendista sull’uscita dall’Osservatorio sulla Torino-Lione.
 
Vedremo più in là se cambieranno altre posizioni, ad esempio sul secondo mandato, per cui non potrebbe correre, lei consigliere comunale nella scorsa legislatura, stando la regola grillina dei due mandati. Una questione non irrilevante, visto che c’è più di un dubbio sulla reale consistenza della classe dirigente uscita dai meetup (e non è un caso che tutta la giunta sia stata scelta, interessante esito tecnocratico di una predicazione populista, previo curricola. Con più di una strizzata d’occhi all’odiato Sistema, per altro). Il Partito Democratico, ormai partito del centro se non di centro, deve certo leccarsi le ferite. Peggio sta il centrodestra, ridotto ai minimi termini nella rappresentanza consiliare (saranno solo quattro, probabilmente divisi in altrettanti gruppi, i rappresentanti dell’area in Sala Rossa). Sul fronte dei vincitori, Appendino guiderà per i prossimi cinque anni, sostenuta da una maggioranza monocolore con praticamente nessun precedente, una Città in cerca dell’identità perduta. Lo farà dovendosi confrontare con le otto Circoscrizioni, frutto del risultato del primo turno, tutte in mano al centrosinistra. Assume anche, il ruolo di Sindaco metropolitano (il sostituto, dopo la riforma Delrio, del Presidente della Provincia). Facile che si trovi nella condizione che gli americani chiamerebbero dell’anatra zoppa: i grillini, pur cresciuti nella rappresentanza in tanti Comuni del torinese, sono lontani dal potersi assicurare il controllo del Consiglio metropolitano. Un combinato disposto, questa dialettica istituzionale, che non sarà certo privo di conseguenze. Anche in questo senso vanno lette, oltre che nell’ambito della narrazione pentastellata di contendibilità del governo nazionale, le dichiarazioni improntate alla ricerca di un dialogo con tutta la Città. E’ facile supporre che “la luna di miele con gli elettori” non sarà brevissima, per altro i vari “poteri forti” si stano rapidamente ricollocando a tutto vantaggio del “nuovo corso”.
 
I problemi comunque si porranno, proprio per la natura del consenso ricevuto, oltre che per l’assenza di reali cinghie di trasmissione e di presidii nei corpi sociali. Alla vigilia del ballottaggio, faceva acutamente rilevare l’eclettico Alessandro Meluzzi che non abbiamo a che fare solo “con il grillismo che siamo abituati a conoscere, ma soprattutto con tutti coloro che addirittura agli antipodi come la Lega e i centro sociali, hanno dichiarato di appoggiarla e di votarla. La candidata per loro è come la macchia di Rorschach. Sogni, aspirazioni, modelli, frustrazioni. Questo mi pare capiti. E non si spiega altrimenti come possano coesistere visioni e idee tra loro in conflitto su temi importanti per la città. Dovrà dimostrare di saper far coesistere le istanze di chi, ad esempio chiede di chiudere i centri sociali e chi invece li sostiene, chi si schiera a favore dell’integrazione e chi agita la paura dell’immigrazione, e via così perché i temi in contraddizione sono molti. Fino ad ora non mi pare abbia spiegato come riuscirebbe in questa impresa”. Al netto dell’obiettivo sconquasso per una vittoria inaspettata, proprio per effetto di queste contraddizioni difficilmente risolvibili, già in queste ore ci sono, nella Torino che conta e non ha alcun intenzione di smettere di contare, ci sono tanti novelli Tancredi che sono certi che “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". I casi delle lontane vittorie del comunista Diego Novelli (nei anni ’70 del secolo scorso) e del tecnocrate ulivista ante litteram Valentino Castellani (al sorgere della Seconda Repubblica) inducono a supporre che tanto cinismo non sia poi così mal riposto. Vedremo.
 
Marco Margrita 
 



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