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18/05/2016
Riforma Costituzionale, il Paese ne ha davvero bisogno?
Sarebbe un grave errore di prospettiva politica e costituzionale ridurre il significato del referendum ad una consultazione plebiscitaria favorevole o contraria al Presidente del Consiglio

Parlare del Referendum del prossimo ottobre, confermativo della riforma Costituzionale fortissimamente voluta del Governo Renzi, ritengo che richieda una premessa importante per sgombrare il campo da uno strisciante equivoco di fondo sul tema. Non é vero, a mio parere, che manifestare osservazioni e critiche su una riforma costituzionale, che cambierà il funzionamento del nostro sistema dopo quasi 70 anni dalla approvazione della Costituzione, significhi essere “conservatori” e contro le riforme o, comunque, contro la reale esigenza di adeguamento dell'impianto istituzionale e costituzionale alle modificate condizioni sociali, politiche ed economiche del Paese. Né, d'altro canto, sollevare eccezioni sulla riforma deve necessariamente sottintendere una polemica politica contro il Governo. Sarebbe un grave errore di prospettiva politica e costituzionale, infatti, ridurre il significato del referendum ad una consultazione  plebiscitaria favorevole o contraria al Presidente del Consiglio. Anche se, é proprio quest'ultimo che ultimamente continua a “scommettere” il suo futuro politico e quello del suo Governo sull'esito del referendum, radicalizzando le posizioni: o con me o contro di me, o cambiamento o conservazione. In realtà, non credo che sia così e, in ogni caso, non intendo iscrivermi al “club” di chi sceglie di votare Si o No, soltanto in funzione dell'effetto politico che l'esito referendario potrebbe avere sul Governo, quanto piuttosto esprimere in grande autonomia oggettive considerazioni sulla riforma. Chiarito questo, credo che sia utile per il dibattito riportare la questione su temi più istituzionali, meno “populistici” e più oggettivi e “consapevolmente” orientati alla valutazione di ciò che sarà il sistema politico-costituzionale italiano in caso di conferma di questa riforma. Dico questo, perchè il tema di fondo che sembra – in questa fase – essere speso dai sostenitori del SI e, quindi, innanzitutto dal presidente del Consiglio e dai suoi Ministri é quello - tra virgolette – di più facile ed immediato impatto mediatico: il risparmio dei costi della Politica.

Con questa riforma, ripetono sempre autorevoli esponenti della maggioranza, si risparmieranno soldi, spendendo molto meno per i Senatori, per le province e così via. Il tema è delicato, va affrontato con equilibrio e se siamo arrivati a questo punto, cioè in questa strettoia  del referendum su una riforma imposta dal Governo, la colpa principale è del sistema politico italiano tutto, che ha dimostrato nei decenni passati, nonostante vari tentativi, di essere incapace di riformare e di riformarsi seriamente. Questa riflessione aprirebbe altre considerazioni sul perchè dell'affermarsi dell'antipolitica o dell' antisistema, ma tutto ciò porterebbe fuori tema. Il problema di fondo é che sul tavolo c'è la riforma del sistema Costituzionale Italiano, c'è il disegno di un nuovo impianto della Costituzione che regolerà la nostra società nei decenni futuri. Non stiamo parlando di “spending review” (materia dove peraltro il governo non si è affatto distinto), non é questo il senso e l'obiettivo di questa riforma ed i risparmi non si realizzano semplicemente attraverso le abrogazioni di organi previsti dalla Costituzione. Se così fosse, se passasse un messaggio “populista demolitivo” di questo tipo, il modello politico dovrebbe essere costruito su pochissimi organi senza che la rappresentanza democratica, la partecipazione dei cittadini ed il bilanciamento dei poteri avesse più, paradossalmente, molta rilevanza. Ed entrando nello specifico della riforma, alcuni aspetti appaiono macroscopicamente contrastare proprio con quell'esigenza fondamentale di riportare la gente ad interessarsi della politica, per partecipare alle scelte e per ricostruire rappresentanze. E' vero, che un bicameralismo “perfetto” probabilmente non risponde più a quelle esigenze costituzionali che erano state tradotte dai Costituenti nella Nostra Carta, destinata a regolare la vita di un paese uscito dal dramma del fascismo.

Ma, direi, appare altrettanto certo che un Senato fatto di “nominati” da sindaci e regioni, non pare rispondere a quell'esigenza vitale per il paese, di far tornare le persone a partecipare e soprattutto a dar loro rappresentanza. Come è possibile lamentare, e ciò proviene da ogni parte politica, che le persone sono deluse dalla politica, non partecipano e non votano (e i dati sull'affluenza elettorale anche all'ultimo referendum lo hanno confermato) e poi immaginare un sistema dove l'apparato di potere sceglie di fatto, chi potrà sedere in Senato. Cambiare le competenze del Senato può essere condivisibile, ma perchè non si potrebbe votare per scegliere i rappresentanti di una Camera che svolga funzioni diverse, numericamente ridotta e con indennità fortemente ridimensionate? A meno che tutto l' impianto - compresa la legge elettorale che é parte sostanziale di questo progetto – sia stato pensato per trasformare il sistema italiano, in un “presidenzialismo di fatto”. Con la nuova legge elettorale che concede il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, si potrebbe mettere il Paese – dando i 340 seggi al primo partito – in mano a chi rappresenta il 25% dell'elettorato, tenuto conto dell'affluenza media degli ultimi anni. Tutto ciò, inserito in un quadro di scelte che non vanno certamente nel senso della rappresentanza e della partecipazione, con la compressione degli spazi per i corpi intermedi - sindacati, associazioni, patronati - che per un malinteso senso  di governabilità, anziché essere considerati, come in realtà sono da sempre, una risorsa ed un incubatore di idee e di proposte ed una camera di mediazione dei conflitti sociali, vengono definiti quasi come una “zavorra” per il Paese. Perciò questa riforma nel merito e nel metodo non risponde a ciò di cui il Paese in questo momento avrebbe davvero bisogno. Per questo non può essere integralmente condivisa e non potrà essere confermata in sede referendaria.

Guglielmo Borri




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