PRIMO PIANO
22/03/2015
Nessuno è risparmiato da questa furia cieca
continuare a tacere la verità non fa altro che esacerbare e giustificare queste violenze

"E tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta", scriveva il poeta Rainer Maria Rilke. I versi di Rilke descrivono e spiegano la coltre di silenzio che avvolge le persecuzioni che subiscono i cristiani in tutto il mondo. Dalla Nigeria al Pakistan, passando per il mattatoio del Medio Oriente, siano essi vittime delle leggi dello Stato, dei gruppi terroristici o di pseudo entità statuali, è in atto il genocidio di quella "entità etnica sui generis", come una volta il beato Papa Paolo VI definì il popolo cristiano, da parte di estremisti islamici. Si tratta di un'immane persecuzione fatta di omicidi, decapitazioni di prigionieri, linciaggi, stupri, rapimenti, matrimoni forzati, riduzione in schiavitù, arresti e Chiese date alle fiamme. Nessuno è risparmiato da questa furia cieca, anzi sono proprio le persone più deboli come i bambini e le donne ad essere le vittime preferite dai carnefici. Sigle come Isis, nomi come Boko Haram, sono diventati sinonimo di terrore. Agli attacchi contro le persone si aggiungono quelli contro i luoghi di culto e i siti storici, con il deliberato scopo di cancellare le tracce della storia cristiana.

Qualche giorno fa hanno fatto il giro del mondo le immagini della dissacrazione della Chiesa di San Giorgio a Mosul in cui veniva rimossa la Croce per sostituirla con la bandiera del Califfato, mostrando il vero volto del carattere religioso delle persecuzioni. Di fronte a queste massicce violazioni dei diritti umani fondamentali, per usare una terminologia cara al diritto internazionale umanitario, la comunità internazionale resta ferma a guardare. Come ha sottolineato il rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite a Ginevra, Mons. Tomasi, la comunità internazionale ha tutti i mezzi (politici e militari) per intervenire. Ed ha l'obbligo di farlo. Eppure ancora poco si muove. Anzi, tutto tace. C'è una sorta di falso pudore che avvolge il carattere religioso delle persecuzioni, "come si tace un'onta", e si preferisce parlare di minoranze perseguitate, soprattutto in Medio Oriente. Continuare a tacere la verità, ostinarsi a non volere chiamare le cose con il loro nome, non fa altro che esacerbare e giustificare queste violenze. Il mondo ha guardato stupito i tragici fatti di Parigi o di Tunisi, senza rendersi conto che sono parte integrante di una visione in cui Cristo e il retaggio cristiano sono fatti fuori. Ma se si cancella il riconoscimento della dignità della persona, dell'inviolabilità della vita umana, se si permette che esistano luoghi e situazioni in cui questi principi possono venir meno, allora quello che rimane non è che un mondo di cieca violenza.

"E tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta", scriveva Rilke, e proseguiva "un po' come si tace una speranza ineffabile". Una speranza ineffabile ci raggiunge da quei luoghi di persecuzioni. Nonostante tutto e contro ogni umana logica, la speranza permane e cresce. I cristiani non hanno abiurato e non hanno rinunciato alla loro fede, e questo è un dato di per sé sorprendente. Ci sono villaggi sotto il controllo degli estremisti islamici in cui si celebrano riti e messe in segreto, in cui si nascondono i simboli religiosi, oppure in cui ci si organizza per creare delle scuole o dei momenti di educazione alla fede per i bambini. Ci sono anche degli esempi di solidarietà tra comunità cristiane e mussulmane, talvolta loro stesse vittime degli estremisti, che raccontano della volontà di continuare a vivere insieme. In questo periodo di Quaresima non possiamo non pensare a questi esempi di speranza nella prova, a queste autentiche testimonianze di Resurrezione attraverso la Croce.

Ed è proprio questa esperienza di Resurrezione, di umanità cambiata e rigenerata a tal punto da poter affrontare immani sofferenze, che il mondo vuole censurare "come un'onta, un po' come si tace una speranza ineffabile". Ma questa censura, talvolta autocensura, la viviamo anche noi nella nostra società, quando non abbiamo il coraggio di essere testimoni di questa umanità cambiata negli ambiti che viviamo. Quando lasciamo che non sia la fede, per la quale molti cristiani muoiono, ad essere il metro di giudizio della nostra presenza nel sociale, nella politica, nell'economia, ma da questi ambiti mutuiamo il giudizio sulla nostra vita. Allora non possiamo che essere grati e vicini a questi testimoni e ripetere con forza insieme a Papa Francesco: "che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace".

Giovanni Gut

 




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet